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lunedì 22 settembre 2014

Trasporto Pubblico in Italia -- Spaghetti vs Menù Completo

La puntata di Presa Diretta del 21/9/2014 (qui il link al video) sul trasporto pubblico locale è stata una boccata d'aria fresca nell'asfissiante panorama televisivo italiano. 
Finalmente un reportage che evidenzia i nessi tra crisi occupazionale, città invivibili per il traffico, e carenze della pianificazione dei trasporti pubblici in Italia rispetto alle migliori pratiche europee.
Ciò premesso, la tessitura del racconto giornalistico (che inizia e finisce sulla vertenza Iveco-Bus)  ha delle smagliature. Un teleascoltatore potrebbe concludere che la questione centrale del trasporto urbano in Italia sia oggi il rinnovo del parco autobus. Sarebbe una conclusione semplicistica, perché il solo rinnovo delle flotte autobus non porterebbe a cambi strutturali.
Questo perché è la predominanza della modalità autobus che costituisce il fattore strutturale dell'inferiorità del trasporto pubblico in Italia.

LA RETE DI SPAGHETTI CHE NON FA RETE
Per visualizzare la "rete" tipica di TPL in un'area urbana italiana basta immaginare una mappa sulla quale si sparpagliano un bel po' di spaghetti cotti (quindi flessibili), le linee di autobus. Queste linee cercano di collegare alcuni punti focali, quindi hanno degli addensamenti in alcune aree, e poi si diradano nelle periferie. La rete che ne risulta ha una buona (apparente) copertura. Ma risulta sistematicamente inefficace e costosa da operare. Questo perché le singole linee non hanno i volumi di traffico tali da giustificare corsie prioritarie. Mancando le corsie prioritarie le velocità sono bassissime, e quindi non attraggono passeggeri. E si instaura così un circolo vizioso lato domanda. Inoltre, queste linee lente sono pessime anche dal punto di vista economico. Per una data capacità offerta, la bassa velocità implica più autobus (e quindi autisti) in servizio. La produttività è quindi bassa. Fenomeno amplificato dalla scelta modale su gomma. Un autista su un autobus offre una capacità al massimo di 180 posti (autobus articolato). 
Lo stesso autista su un sistema basato su ferro (metro, metro leggera, ferrovia regionale) può offrire capacità per unità di trasporto di molto maggiori rispetto all'autobus.

La debolezza sistemica del trasporto pubblico italiano non è quindi la vetustà del parco autobus, ma la sostanziale mono-modalità (gomma) e la mancanza di linee urbane ad alta capacità su corsie prioritarie. 
Queste dorsali sono quelle che aprono la città alla mobilità libera dall'automobile privata.
Nel reportage da Nantes la giornalista, peraltro brava, ha omesso di evidenziare come il ridisegno dei trasporti pubblici di quella cittadina sia partito con un notevole investimento su una rete tranviaria (43,5 km per meno di 300mila abitanti).
Infatti, le linee autobus dovrebbero essere limitate al servizio di una rete di secondo livello per alimentare la rete di primo livello basata su ferro.
Altrimenti si richiede troppo al mezzo autobus che, annegato nel traffico, non può offrire le capacità e le velocità necessarie per soppiantare l'automobile privata.
Ed è illusorio sperare che l'autobus, la gomma, possa negoziare tali priorità, perché i decisori pubblici non riuscirebbero a tenere il punto di fronte ai mille micro-interessi (parcheggi per i negozi, etc), che tali corsie prioritarie scatenerebbero. L'intrinseca flessibilità dell'autobus, è il suo punto debole, perché alimenta le attese per "aggiustamenti", "deviazioni", "eccezioni", che portano poi alla cannibalizzazione degli spazi destinati al trasporto pubblico.
Come argomentato brillantemente dal Prof Vukan Vuchic, nelle aree densamente urbanizzate la flessibilità è uno svantaggio, mentre la persistenza, tipica dei sistemi su ferro, è un vantaggio. 
Gli autobus su corsie dedicate (in inglese BRT, bus rapid transit) sono spesso una chimera per le città ad alta densità di automobili dell'occidente industrializzato.
Il BRT è una formula che si sta dimostrando di successo per le megalopoli in via d'industrializzazione perché lì i bassi costi del lavoro (quindi bassi costi per l'erogazione di un servizio labour intensive), la disponibilità ad accettare condizioni di comfort non esaltanti, e un tasso di motorizzazione ancora lontano da quello occidentale, porta a rendere tale sistema sufficientemente attrattivo, anche perché ha minori tempi di implementazione rispetto ai sistemi basati su ferro (sui costi il confronto non è così facile come alcuni pensano). 
Ma in Italia, se davvero si vuole ridurre il caos urbano, non c'è altra scelta che investimenti su ferro.
Senza la riduzione del numero di automobili per abitante, gli spazi urbani sono talmente congestionati da rendere impossibile o comunque difficile altre alternative come l'uso della bicicletta. E la mancanza di alternative all'automobile rafforza il ciclo di dipendenza, e quindi degli alti costi privati e pubblici, dell'inquinamento, etc. (qualche altro commento energetico-ambientale su queste dinamiche in questo post).

C'è però uno sconveniente corollario di questa analisi.
L'arretratezza del trasporto pubblico non è solo un problema di politica corrotta.
Concentrare gli investimenti sulle dorsali urbane richiede scelte politicamente difficili. 
Bisogna scegliere quali parti di un territorio avranno una rete di trasporto rapido e quali invece no.
Politicamente è molto più comodo garantire a tutti l'accesso a qualche spaghetto.  
Ma serve anche la carne, che, si sa, offre  ferro biodisponibile.