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domenica 14 dicembre 2014

Eolico? Sì, Grazie. E Pure in Abbondanza!!!

Parco Eolico in Scozia. Autore: Andrew Hill. Licenza: Creative Commons


Le accuse generalizzate all'eolico non reggono la minima analisi. I parchi eolici, dopo una seria ma serena valutazione, andrebbero accolti con manifestazioni di giubilo da chi è sinceramente ambientalista ed è consapevole dei rischi globali del cambiamento climatico.

Di seguito una serie di "argomenti" anti-eolico, smontati uno per uno:

22. MA NON ABBIAMO GIA' TROPPO EOLICO?



24. MA IN ITALIA L'EOLICO È STATO SVILUPPATO MALE


1. LE CENTRALI EOLICHE SONO MEGA-IMPIANTI, SERVE INVECE  IL RISPARMIO ENERGETICO
Le centrali eoliche non sono mega-impianti nel senso deleterio del termine. Invito a dei calcoli sugli ordini di grandezza. 
Il fabbisogno energetico medio procapite italiano è pari a 2,8 tep (tonnellate equivalenti di petrolio) per anno. Tralasciamo per semplicità la questione dei consumi energetici "nascosti" dovuti alle delocalizzazioni nei paesi di nuova industrializzazione (con più lasca legislazione ambientale) di produzioni che poi, al netto dell'export, vengono consumate in Italia (non è poco, ma le metodologie di stima sono ancora in fase di definizione, quindi tralasciamo).
Ci sono in questi 2,8 tep molti sprechi, molti possibili aumenti di efficienza, molti risparmi realizzabili con stili di vita sobri. Ma ci sono anche altre tendenze all'aumento perché ampie fasce di popolazione sono in condizione di sofferenza economica, e quindi accedono a meno servizi energetici di quanto uno stile di vita dignitoso dovrebbe garantire. Mi riferisco ai tanti anziani poveri che si riscaldano l'inverno con inquinantissimi e inefficienti vecchi caminetti, o stufette elettriche, o che soffrono collassi d'estate per il mancato condizionamento. Se vogliamo fornire modi di vita dignitosi a tutti, dobbiamo anche prevedere aumenti nell'erogazione di servizi energetici moderni, che hanno un costo energetico sia in esercizio, sia sul ciclo di vita per la produzione dell'impiantistica. Quando si vanno a fare tutte queste somme, ci si accorge che sì, la sobrietà e l'efficienza possono molto, ma che comunque il residuo di produzione energetica necessaria non è poi esattamente poco. In base alle mie conoscenze, gli scenari di fabbisogno minimalisti più coerenti e tecnicamente fondati sono stati realizzati da gruppi svizzeri (ci sono anche i francesi del gruppo négaWatt, etc). Ma in tutta questa scenaristica, lo ripeto, "spinta" al massimo sulla riduzione, come fabbisogno si arriva a circa 1,5 tep/anno procapite. Chi ha memoria storica ambientalista si ricorderà l'ormai datato, ma in parte ancora attuale, scenario Tiezzi-DegliEspinosa del 1987 che tendeva a numeri simili per il fabbisogno (1,67 per la precisione). Si facciano i conti, non è qualcosa che si può realisticamente fornire con mini-eolico, mini-fotovoltaico e mini-etc. In uno scenario di erogazione prevalentemente su input elettrico, gli 1,5 tep diventano 17500 kWh/(anno-persona).
A questo link considero in una prospettiva internazionale questi dati. 
Ripeto, tali stime riguardano il fabbisogno totale, non soltanto l'attuale consumo elettrico casalingo. Trasporti, industria, servizi, commercio, etc. Ora, compariamo tale coefficiente (ripeto, ottimistico) di fabbisogno (ripeto, sobrio e frugale) con la produzione rinnovabile corrente e vedremo a che punto siamo rispetto all'obiettivo della decarbonizzazione.
In Italia nel 2013 abbiamo prodotto circa 1600 kWh/(anno-persona) da rinnovabili elettriche. Ma di questi 1600 la maggior parte riguarda l'idroelettrico, che è difficile da espandere ulteriormente. La sola quota "scalabile" è quella dell'eolico e del solare, che ammonta a soli 600 kWh/(anno-persona)!
Da sinistra verso destra: fabbisogno energetico medio procapite per i paesi industrializzati (in marrone), l'Italia del 2013 (in arancione), un'Italia frugale (si auspica al 2050) (in verde), la produzione di rinnovabili elettriche (escluse le biomasse, di incerta qualità ambientale, e comunque non influenti ai fini del confronto) (in blue), e, ultima barra (in rosa), la porzione di solare-eolico (l'unica con ampi potenziali).  Dati in kWh/(anno-persona).
In una Italia frugale e sostenibile, non tutti i 17500 kWh/(anno-persona) verrebbero da fonte eolica o solare, perché ci sarebbero altri contributi. Ma gli scenari di decarbonizzazione al 2050 devono prevedere almeno un 50% di solare-eolico. Quindi, solare-eolico devono espandersi più di dieci volte rispetto all'oggi. Sempre nell'ipotesi di massima frugalità!!!!

E no, sotto l'1,5 tep/abitante-anno non si può andare, a meno di convertire al francescanesimo il 100% della popolazione. Obiettivo ambiziosetto, visto che storicamente la vita monacale non ha mai attirato più di qualche percento della popolazione (e io auguro anche il diffondersi di nuovi stili di vita moderatamente ascetici). Inoltre, i trend spontanei sono su valori doppi e tripli rispetto a questi (e i trend spontanei includono comunque i comportamenti virtuosi di alcune minoranze, comunque ininfluenti)!!!! 
Per non parlare dei livelli di consumo energetico nordamericani che sono 5 volte maggiori!!!!


2. ALL'EOLICO PREFERISCO I TETTI FOTOVOLTAICI
Sì, il solare fotovoltaico distribuito è un tassello importantissimo della transizione energetica, d'accordo. Ma se ci si limita al solare sui tetti si limita fortemente il potenziale delle rinnovabili. Questo per le seguenti ragioni tecnico-economiche: 


  1. Il solare offre potenza variabile (giorno/notte, ciclo stagionale, più d'estate che d'inverno). Questa variabilità della fonte solare è un problema che però viene mitigato quando su larga scala si integrano solare e eolico. Perché l'eolico è negativamente correlato al solare (più d'inverno che d'estate, più di notte che di giorno). L'integrazione solare-eolico su scala vasta riduce di molto la problematicità della potenza variabile di queste fonti (Budischak et al. 2013). 
  2. Per motivi di scala il fotovoltaico sui tetti è, ceteris paribus, l'opzione più costosa. Quindi a parità di risorse economiche puntando solo sul piccolo fotovoltaico si ottiene meno energia rinnovabile. 
  3. L'eolico nel mix rinnovabile contribuisce a diminuire il carico aggiuntivo fossile della transizione. Infatti, l'eolico è tra le fonti rinnovabili quella con il minore tempo di ritorno dell'energia investita (energy payback time).
Il mix di rinnovabili ottimo (studi di M. Z. Jacobson, Università di Stanfordprevede fotovoltaico distribuito, solare da centrali a terra, e eolico a terra e in mare (e geotermico, etc). Puntare soltanto sull'opzione più costosa del mix è un modo "furbo" per boicottare la transizione. 

3. NELL'EOLICO CI SONO GLI INTERESSI DELLA MAFIA
E di grazia, dove non ci sarebbero gli interessi mafiosi. Chi si basa su questo argomento non dovrebbe più entrare in un bar, o in un qualsiasi negozio, visto il ruolo delle organizzazioni mafiose nel commercio.
Ma l'argomento è ancora più sbagliato di quanto non sembri a prima vista. Nel caso in cui la mafia abbia investito in centrali eoliche ha commesso un errore. Queste centrali sono facilmente sequestrabili, il ritorno sul capitale dipende dalla produzione elettrica. Sarebbero un target ideale di espropriazione dei capitali mafiosi. Investimenti mafiosi in altri settori sono di ben più difficile esproprio.

4. CI SONO STATI CASI DI CORRUZIONE NEGLI ITER AUTORIZZATIVI DELL'EOLICO
Davvero? Una novità assoluta per l'Italia!
Sono anch'io preoccupato per la corruzione nel settore eolico, perché la corruzione, oltre a essere rivoltante, aumenta i costi e quindi frena la decarbonizzazione.
La corruzione negli iter autorizzativi dell'eolico va espiantata. Ma per raggiungere questo obiettivo servono procedure trasparenti e un'opinione pubblica informata che non creda alle baggianate anti-eoliche. Sono anche le cattive informazioni che rallentano gli iter decisionali, e quindi, aumentano la possibilità di fenomeni corruttivi. Dovrebbe esser chiaro a tutti che in Italia la corruzione e la disinformazione sono due facce della stessa medaglia.

5. MA PIU' DEL 10% DI SOLARE-EOLICO CREA PROBLEMI ALLA RETE ELETTRICA
l'ipotesi che ci sia una soglia massima del 10% per il contributo di eolico-solare è ipotesi vecchia e screditata (ma dura a morire, come tutti i miti). Queste stime venivano fatte 30 anni fa quando non si aveva esperienza in materia, e quando si andava per "associazione" con le variazioni massime aleatorie sopportabili dalla rete. Vero è che solare ed eolico non sono fonti dipacciabili, ma sono ormai ben prevedibili quando aggregate su area vasta come una rete nazionale, o, meglio, internazionale. Rimedi alla variabilità di queste fonti esistono, e sono ormai misure ben studiate: diversificazione geografica e tecnologica, super-grid, smart-grid, integrazione tra settore elettrico e trasporti, integrazione elettrico-usi final termici, etc. Esistono accurate simulazioni annue su passi temporali dell'ora per scenari ambiziosissimi del 100% rinnovabili (studi del Fraunhofer Institute di Friburgo,  studi di M. Z. Jacobson, Università di Stanford). È possibile alimentare tutti i settori degli usi finali (quindi compresi i trasporti e gli usi termici) con l'idroelettrico esistente e nuovo eolico e fotovoltaico (più qualche altra frazione di altre rinnovabili). A costi, al 2050, non maggiori di quelli che avremmo per le fossili, tenendo conto dei danni che le fonti fossili arrecano. Poi, sì, più sobrietà e efficienza energetica inseriamo nel mix meglio è. 
Si faccia pure il calcolo che si vuole sui fabbisogni frugali, ma alla fine dell'energia va prodotta. La fonte eolica è la più benigna che abbiamo (anche migliore dello stesso fotovoltaico), e di turbine eoliche in Italia, al 2050, ne serviranno decine di migliaia (altro che lamentarsi per le migliaia attuali). Legittimo dire che al posto delle decine di migliaia di turbine eoliche si preferirebbero poche centrali nucleari. Sono preferenze. Non è invece coerente pensare che ce la si può fare con la sola sobrietà-efficienza-pannellino-sul-tetto. I conti non tornano. 

6. L'EOLICO DISTRUGGE IL PAESAGGIO

Nessuno propone l'inserimento di centrali eoliche nelle oasi del paesaggio italiano. Oasi che hanno conservato l'arte dell'antropizzazione pre-industriale, o l'incanto della natura non contaminata da attività umane. Queste oasi vanno protette senza cedimento alcuno. Ma fuori dalle oasi esiste il paesaggio anomico della modernizzazione fossile. Dovunque si manifestano il cemento e l'asfalto la grande bellezza è stata sacrificata. Le tracce di questo sacrificio sono registrate nei livelli di concentrazione in atmosfera dei gas serra prodotti dalle fonti fossili che hanno alimentato la produzione di quel cemento-asfalto. Ed essendo l'Italia tra i primi paesi al mondo ad essersi lanciata in questo progresso che ormai sappiamo insostenibile, abbiamo un obbligo morale rispetto ai paesi che solo ora seguono i passi di questa stessa nostra modernizzazione. I gas serra hanno tempi lunghi di permanenza, il secolo è unità di misura rilevante, e l'accumulo storico conta.
Anche se si dovesse valutare come inopportuno un determinato inserimento paesaggistico, non deve comunque passare il messaggio che si rinuncia all'eolico  per ragioni "ambientali". Il bilancio ambientale dell'eolico è così largamente positivo che le accuse non reggono (a meno di specifici habitat riproduttivi di avifauna in via d'estinzione). Il messaggio è importante perché, purtroppo, manca l'informazione di base sulle questioni energetiche. Una megacentrale   fossile può produrre una grandissima quantità di elettricità con un ingombro visivo limitato. La stessa quantità di elettricità prodotta con l'eolico richiederebbe circa 3000 (tremila) torri eoliche alte 100 metri. Non certo "invisibili"!!! Ma l'ingombro visivo è l'unico aspetto potenzialmente negativo dell'eolico. Dico potenzialmente perché, esclusi i luoghi di cui sopra, in contesti di moderna antropizzazione, a me l'eolico piace. È una sorta di riparazione ambientale, perché realizza la decarbonizzazione, inverte la tendenza distruttiva sul clima che, invece, tutto il resto del paesaggio d'antropizzazione moderna testimonia.
Quindi, non si vogliono difendere le centrali eoliche come impatto minore rispetto a impatti maggiori già esistenti (anche se pure questo argomento ha la sua rilevanza in un'ottica a criteri multipli, dove ogni preferenza deve essere scalata, prima di essere integrata). Al contrario, si propongono le centrali eoliche come compensazione, come espressione visibile di un cambio di direzione rispetto all'antropizzazione fossile. 
Non mancano i riferimenti storico-culturali per una tale valorizzazione paesaggistica dell'eolico. Per esempio, in una delle aree italiane con maggiore risorsa vento, il Crotonese, storicamente abbiamo avuto la presenza di mulini a vento, come nelle aree della Spagna che hanno oggigiorno puntato massicciamente sull'eolico. Al questo link, una storia dei mulini a vento di quest'area della Calabria. Nell'illustrazione seguente una tavola del seicento della città di Strongoli contornata di ben cinque mulini a vento.
È questo un cambio di prospettiva, per una estetica in sintonia con l'etica. Le torri eoliche sono belle perché giuste e perché in accordo con la nostra storia culturale. 



7. L'EOLICO COSTA TROPPO, GLI INCENTIVI PESANO SULLA BOLLETTA
Gli incentivi "forti" sull'eolico sono ormai alle nostre spalle, sono serviti per abbassare i costi della tecnologia, hanno raggiunto il risultato, adesso all'eolico va riconosciuto soltanto il merito ambientale, che è possibile realizzare o attraverso una carbon tax (opzione che preferirei) o attraverso un delta di incentivi specifici (soluzione attuale, comunque difendibilissima). 
Si possono legittimamente valutare come costose  le rinnovabili installate nell'ultimo decennio. Ma questo riguarda il passato, non l'oggi, e meno che meno il futuro. Nel grafico seguente si riportano delle stime dei costi sul ciclo di vita, novembre 2013


Costo di produzione dell'elettricità sul ciclo di vita (Levelized Cost of Electricity, LCOE) in Germania nel 2013 per le seguenti tecnologie (da sinistra a destra): fotovoltaico di piccola scala nei siti tedeschi (cioè con bassa irradiazione solare, GHI 1000-1200 kWh/(mq-a)), fotovoltaico di grande taglia nelle stesse condizioni di cui al caso precedente, eolico a terra nei siti con vento utile nell'intervallo 1300 - 2700 ore per anno, eolico fuori costa nei siti con 2800 - 4000 ore per anno, centrali a biogas operanti per 6000 - 8000 ore per anno,   centrali a lignite operanti 6600 - 7600 ore per anno, centrali a carbone operanti 5500 - 6500 ore per anno, centrali a gas a ciclo combinato operanti 3000 - 4000 ore per anno.

Questo grafico chiaramente mostra la competitività dell'eolico, e persino del fotovoltaico di grande taglia in Germania! 
Si può ben capire quindi il nervosismo dei produttori di elettricità fossile. Anche perché questi grafici raccontano solo in parte il potenziale spiazzante delle rinnovabili. Infatti, aumentando la quota delle rinnovabili nel mix elettrico calano le ore di funzionamento annuo delle centrali fossili, che quindi aumentano i loro costi della produzione unitaria, o distruggono la redditività del capitale investitovi.

Le rinnovabili hanno vinto la sfida industriale della diminuzione dei costi con il progredire dei volumi installati. Le economie di scala, d'apprendimento, etc, si sono realizzate. Non era scontato, ma è andata così, gli scettici hanno avuto torto, si vedano al riguardo i grafici di questo rapporto (del DOE americano, non di una associazione ambientalista) per apprezzare gli effetti degli andamenti esponenziali
Oggi, all'accusa "costano troppo" si può rispondere "costavano tanto, abbiamo investito per far scendere i prezzi, obiettivo raggiunto, raccogliamone i frutti installandone ancora"

8. PERCHÈ DARE INCENTIVI ALL'EOLICO QUANTO IL NUCLEARE O LE FOSSILI NON NE RICHIEDONO?
Il nucleare senza sostegno pubblico non esiste in nessuna parte al mondo. I francesi hanno sempre fatto contabilità creativa sul loro nucleare. E infatti, adesso che l'UE gli ha imposto trasparenza sui costi, si pongono l'obiettivo di *ridurre* la quota di nucleare nel loro mix. Per i costi della reattoristica attuale è illuminante la recente storia di Hinkley Point C, in Inghilterra. Ormai i confronti economici sono cambiati, per questo la lobby fossile attacca furiosamente l'eolico. I conti essenziali sono riportati su questa pagina: http://lmoccia.blogspot.it/2014/04/come-cambia-il-mondo-solare-eolico-gas.html
Anche le fonti fossili godono di sussidi, sebbene occulti. Il principale sussidio è la non contabilizzazione dell'inquinamento che producono. Preciso che sono d'accordissimo nel fare ricerca sul nucleare. Ma sono decenni che si promettono centrali a sicurezza intrinseca, al torio, LFTR, SMR, etc, etc. Ma ancora, a parte gli annunci di marketing, non s'è visto niente. Spero di essere smentito negli anni a venire. Per il momento solare e eolico in Italia sono l'unica opzione di decarbonizzazione lato produzione. 


9. LA PRIORITA' È LA LOTTA CONTRO IL CARBONE, O L'INQUINAMENTO ATMOSFERICO NELLE CITTA' (ARGOMENTO DEL "CI VUOLE BENALTRO")
Se vuoi chiudere le vecchie centrali a carbone, o impedire di aprirne di nuove hai bisogno nel mix elettrico di molto più eolico di quanto non ne abbiamo oggi. Idem per la riduzione dell'inquinamento atmosferico urbano che è possibile in modo sostanziale soltanto con l'elettrificazione dei trasporti e degli usi termici (pompe di calore). E queste misure hanno senso soltanto se l'input elettrico ha sul ciclo di vita una impronta del carbonio bassissima, altrimenti il bilancio complessivo non si sposta significativamente. Solare e eolico sono l'unica opzione che abbiamo lato produzione. Oppure, se l'impatto visivo proprio non piace, si abbia almeno la coerenza di proporre il nucleare. Altrimenti, semplicemente, i conti non tornano, il bilancio non è verificato.
Altri dettagli sui trasporti al link seguente:
http://lmoccia.blogspot.it/2014/05/dellinsostenibile-pesantezza-e.html 


10. SONO CONTRO L'EOLICO PERCHÈ PREFERIREI IL MINI-EOLICO, LA GEOTERMIA, IL SOLARE TERMODINAMICO, ETC.
Ma anch'io sono per il mini-eolico, la geotermia, il solare termodinamico!!! 
Ma bisogna capire gli ordini di grandezza e gli ambiti di applicazione. La filiera del minieolico è rilevante per l'elettrificazione di villaggi remoti. Ma sui bilanci globali di una umanità di diversi miliardi di esseri umani il minieolico non sarà mai più di zero_virgola_zero. Anche la geotermia è interessante, ma soprattutto a supporto dell'elettrificazione degli usi termici con pompe di calore geotermiche. Qualcosa è realizzabile anche per produzione elettrica, ma non ci si può aspettare miracoli, questa tecnologia può avere anche i suoi lati negativi, e bisogna valutare progetto per progetto. Il solare termodinamico vent'anni fa era la mia opzione preferita. Ma nel frattempo il fotovoltaico ha rispettato gli scenari ottimistici sulla riduzione dei costi, e quindi è la tecnologia solare principale. Ha senso mantenere il termodinamico nel ventaglio delle opzioni per le possibilità che potrebbe avere nella fascia geografica dove la frazione solare diretta è praticamente uguale alla totale, le ore giorno sono poco variabili lungo l'anno, e c'è un fabbisogno associabile di desalinizzazione. In pratica, qui vicino a noi, il Nord-Africa. Per l'Italia la tecnologia solare termodinamica è interessante a fini dimostrativi per l'esportazione della tecnologia verso quei paesi. E ovviamente, potrebbe dare un contributo anche qui (nel Sud della Sicilia). Quindi, le colonne portanti della decarbonizzazione lato produzione in Italia sono: eolico a terra, eolico in mare, fotovoltaico distribuito con pannelli piani, e fotovoltaico a concentrazione-inseguimento (i girasoli). Lato produzione, le altre tecnologie rinnovabili sono integrative. Interessanti quando si vuole, ma integrative. Per non parlare della biomassa, dove sono più gli esempi negativi che quelli positivi (che ci sono, ma sono davvero pochi, su progetti a piccola scala, e bisogna valutare caso per caso).

11. PERCHÈ L'EOLICO SE I CAMBIAMENTI CLIMATICI SONO UNA BUFALA?
I cambiamenti climatici sono un rischio acclarato, chi  nega questo rischio non ha alcuna base razionale d'argomentazione. Va bene lo scambio d'opinioni, ma ci sono dei confini morali non oltrepassabili. Chi nega il rischio climatico, che può portare a veri e propri genocidi tra le fasce più povere della popolazione mondiale, si pone oltre questi confini. 


12. TUTTO QUESTO CEMENTO-ACCIAIO DELLE TORRI EOLICHE PRODUCE UN'ELEVATA IMPRONTA DEL CARBONIO
Proprio perché accettiamo l'elaborazione della comunità scientifica su una questione così complessa come il clima, a maggior ragione dovremmo fare fact checking su questioni molto più circoscritte e ormai ben studiate. Per esempio, c'è ancora chi fa illazioni sul presunto "carbon footprint" dell'eolico. Sulla valutazione integrata sul ciclo di vita di questa tecnologia sappiamo ormai tutto. Sui requisiti energetici, i flussi di materia, etc nella fase di produzione, di trasporto, di installazione, le basi di cemento delle torri, lo smaltimento, etc. Tutto è stato ampiamente e da molte fonti indipendenti valutato nei dettagli. Non si può, come a volte mi capita di leggere, accusare le torri eoliche di essere uno spreco d'energia, o di materiali. I bilanci sono stati fatti, e sono stra-positivi. Sul carbon footprint dell'eolico si può leggere a pagina 1335 dell'ultimo rapporto IPCC (nel link). Sintetizza una notevole mole di studi scientifici. Cosa dice? Che l'eolico ha sul ciclo di vita una emissione di CO2 pari a 11 grammi/kWh, valore mediano. Il carbone è, sempre sul valore mediano, pari a 820!!!! L'eolico ha un carbon footprint più di settanta volte inferiore rispetto al carbone!!!!
Anche sui flussi di materiali dell'eolico, c'è un sostanziale via libera sulla sostenibilità di lungo periodo dell'espansione dell'eolico.


13. MA IL CONSUMO DI SUOLO DELL'EOLICO  È ECCESSIVO!
Mi rendo perfettamente conto che per decarbonizzare con solare-eolico si devono impegnare aree considerevoli di territorio. Ma i bilanci tipo LCA, cioé sul ciclo di vita, anche per quanto riguarda il fattore "consumo di suolo" sono abbastanza buoni anche per queste fonti. È sorattutto un problema di percezione. Una centrale termoelettrica ha un piccolo impatto visivo rispetto ai grandi quantitativi di elettricità prodotta, ma le catene di approvvigionamento a monte, e smaltimento a valle sfuggono al criterio dell'impatto visivo del sito di produzione. Sintesi di studi LCA: http://lmoccia.blogspot.it/2014/04/perche-solare-e-eolico-non-hanno-un.html


14. L'EOLICO UCCIDE GLI UCCELLI!
l'impatto dell'eolico sull'avifauna, spesso presentato come catastrofico in base a strazianti immagini di singoli volatili uccisi, è, al contrario, largamente positivo. L'energia eolica in quanto sostitutiva di quella fossile permette di diminuire di 10 è più volte la mortalità dell'avifauna dovuta alla generazione elettrica, che comunque è bassa rispetto ad altre cause derivate dalla presenza umana come le finestre degli edifici, i gatti domestici, etc. E anche queste cause di mortalità impallidiscono rispetto ai rischi del cambiamento climatico per la stessa avifauna. Gli uccelli, avessero la possibilità di esprimersi, direbbero "Eolico? Sì, grazie".
Ve lo avevo detto che era molto meglio l'eolico! (Photo by marinephotobankCC license)  


15. LE PALE EOLICHE NON SERVONO, SONO SEMPRE FERME, È UNA SPECULAZIONE
C'è un controsenso nell'accusare i progetti eolici di "speculazione" e poi dire che "le pale resterebbero sempre ferme", essendo il ricavo degli impianti proporzionale alla produzione. L'eolico ha fisiologicamente un numero basso di ore di funzionamento durante l'anno. Ed è più attivo di notte e d'inverno. Quindi, è molto probabile passare vicino a un parco eolico in un giorno di primavera-estate e trovare le pale ferme.


16. L'EOLICO PRODUCE ELETTRICITA', CHE NON SI CONSERVA, E QUINDI SE NE SPRECHEREBBE
C'è qualcosa di vero in questo argomento, ma che di solito è presentato in un quadro complessivamente fuorviante. Cominciamo con l'asserzione "l'energia elettrica non si conserva". Quasi vero, nel senso che si può stoccare ma a costi alti, e quindi si preferisce tenere  in  equilibrio il profilo di produzione con quello di consumo. Ci sono delle eccezioni già nei sistemi elettrici attuali, pensati per le produzioni concentrate (le megacentrali fossili o nucleari). L'idroelettrico a bacino viene a volte utilizzato per stoccaggi, per dare una sorta di batteria gravitazionale alla rete. Ma prevalentemente il sistema si regge sull'equilibrio costante della produzione rispetto al consumo. Le rinnovabili non-programmabili (solare fotovoltaico e eolico) introducono una variabilità lato produzione che è problematica rispetto alle reti e ai sistemi di controllo esistenti. Vero. Ma, si noti il dettaglio "esistenti". È tecnicamente possibile adeguare le reti ad un uso massicio di queste fonti non-programmabili. Attenzione, sono non-programmabili, ma non sono aleatorie, perché prevedibili negli orizzonti di regolazione rilevanti. Nelle percentuali attuali di solare-eolico in Italia ancora si sono avuti soltanto problemi minori. Nel senso che è capitato che impianti siano stati disconnessi. Ma nel complesso la rete ha retto bene, e non sono questi casi isolati a rappresentare un problema che inficia solare-eolico. Adeguamenti di rete comunque se ne sarebbero dovuti fare. Inoltre c'è una dinamica molto interessante lato tecnologie di trasmissione. L'elettricità, sin dagli inizi,  è  stata una forma d'energia facilmente trasferibile sulle grandi distanze. Ma oggi i nuovi cavi per le connessioni a lunga distanza sono un portento. È oggi possibile realizzare reti intra e inter-continentali che trasferiscono per migliaia di km elettricità con perdite trascurabili. Questo significa che potremmo utilizzare l'elettricità dell'eolico del mare del Nord in Sicilia, e l'elettricità del fotovoltaico siciliano in Norvegia. Inoltre, sono tecnicamente possibili reti per collegare l'Europa e i paesi della sponda sud del Mediterraneo, contribuendo così a pace e progresso. Si potrebbe dire, ma perché ognuno non si produce e consuma la propria energia, evitando così queste infrastrutture? E ritorniamo a quell'elemento di verità contenuto nella frase "l'elettricità non si conserva (bene)". Volendo fare a meno delle fonti fossili e del nucleare (che invece sono programmabili) abbiamo bisogno della massima dipersione geografica delle fonti rinnovabili per smussare la variabilità di queste fonti. Ecco perché servono queste nuove reti. Altrimenti la quota di rinnovabili nel mix deve essere limitata. Vero è che ci sono anche altre strategie per far fronte alla variabilità: le smart grid, dove sono i carichi ad adattarsi all'offerta. E anche qualche forma di accumulo distribuito giocherà un ruolo. Ma la sfida della decarbonizzazione è così vasta che abbiamo bisogno di un ventaglio ampio di soluzioni.  La risposta sintetica a questo argomento è che, sì, ci sono dei problemi, ma sono comunque piccoli, e comunque superabili.  


17. LA MIA REGIONE ESPORTA ELETTRICITA', QUINDI L'EOLICO NON SERVE
La storiella che la regione X sarebbe "quasi autosufficiente" dato che esporta elettricità è soltanto una pia illusione: dipendiamo dalle fonti fossili per la grande maggioranza del bilancio globale (che include anche trasporti, calore, etc). Le nuove rinnovabili solare-eolico vanno sviluppate per soppiantare *tutte* le fonti fossili. 
Chi afferma che non ne avremmo bisogno  ha l'onere della prova e deve fornire i numeri di uno scenario energetico (qualunque siano le ipotesi frugali sui consumi) a basse emissioni di CO2. Voglio proprio vedere come tornano i conti senza un bel po' di eolico. Tale scenario sarebbe una prima mondiale!!!!
Sulla scenaristica energetica ci sono biblioteche intere. Sono scelte complesse. Le leve in campo sono sì tantissime, ma i bilanci sono comunque difficili da far quadrare. La modernità ha un suo costo energetico che non è banale. Come aiuto alla visualizzazione rimando al seguente link, dove le scelte sono per il Regno Unito (per l’Italia le differenze ci sono, avremmo meno eolico e più fotovoltaico, ma gli ordini di grandezza delle scelte difficili rimangono):


18. I TEDESCHI SI SONO DISAMORATI DELL'EOLICO, PERCHÈ FARLO IN ITALIA?
Ma dove? Ma quando mai? Ma se continuano a installare con obiettivi fortissimi! Nel link gli ultimi dati disponibili. Sì, "alcuni" tedeschi se ne lamentano. Sono quelli che hanno investito nelle centrali termoelettriche e che adesso si vedono i margini erosi e hanno perso capitalizzazioni da capogiro. Loro si lamentano, e ne hanno motivo. I sostenitori della Energiewende, invece, ne vanno giustamente orgogliosi. Nel lander Schleswig-Holstein, una regione grande quanto la Calabria, con pure una densità abitativa maggiore, quest'anno hanno raggiunto il 100% di produzione elettrica rinnovabile grazie all'eolico (rispetto ai consumi regionali). E, tenetevi forte, puntano al 300% per esportarla. Nei prossimi 10 anni!!! Non mi risulta che i tedeschi di quella regione siano indifferenti ai paesaggi dello Jutland. Prima che qualcuno si avventuri nello svalorizzare la risorsa eolica calabrese rispetto a quella più abbondante delle coste nordiche, ricordo che i progressi nell'ultima decade nelle turbine hanno reso meno drastiche di un tempo tali differenze (cioè, ci sono stati tanti miglioramenti per le condizioni operative con venti a velocità medie, ampliando il potenziale dell'eolico). 


19. L'EOLICO CAUSA DISOCCUPAZIONE NEL SETTORE TERMOELETTRICO
Vero. Ma porta anche ad aumenti occupazionali nel settore eolico, e il saldo è ampiamente positivo. E comunque, lo stop all'eolico è paradossale per chi dice di preoccuparsi dell'occupazione nel settore dell'industria manifatturiera. Inoltre, c'è l'opportunità dell'eolico fuori costa. Si vedano al riguardo le azioni di promozione messe in atto dalla Scozia che si pone l'obiettivo del 100% rinnovabili sul consumo elettrico lordo al 2020 (e no, non è un errore di battitura, cento_per_cento al duemila_e_venti). Questi investimenti nelle aree portuali del Mare del Nord ne sono i positivi corollari. 


20. SONO CONTRO L'EOLICO PERCHÈ L'HA DETTO QUEL COMMENTATORE IMPORTANTE TAL DEI TALI, CHE È ANCHE DI SINISTRA
Le campagne antieolico e la diffusione di miti su pericolosità inesistenti le finanziano le lobby fossili. Negli USA è stato tutto ben documentato. In Italia queste manovre sono più oscure e trasversali. Quando sento esponenti di sinistra in Italia esprimersi contro l'eolico (un nome a caso Nichi Vendola vengo assalito da dubbi sulle mie posizioni gandhiane. 


21. BISOGNA ESSERE CONTRO TUTTE LE TECNOLOGIE, QUINDI ANCHE CONTRO L'EOLICO
In una prospettiva anarco-ambientalista non c'è bisogno dell'eolico. Ma poi bisogna essere coerenti, e tornare a vivere senza tecnologia. Neanche la tecnologia agricola va bene (è devastante pure quella). Occorrerebbe ritornare ai modi di vita dei cacciatori-raccoglitori. Solo che, però, questa via è praticabile sul pianeta Terra per poche decine di milioni di esseri umani. Abbiamo un problema con qualche altro miliardo di tali esseri. Cosa si propone per loro? Volenti o nolenti, siamo su una traiettoria tecnologica. Dipende da noi meglio indirizzarla.


22. MA NON ABBIAMO GIA' TROPPO EOLICO?
Sull'argomento "ce n'è già troppo", si risponde facilmente con gli argomenti esposti al punto 1, la sintesi è che siamo lontanissimi persino dal "sufficiente"!!!! Facciamo pure tutte le ipotesi che vogliamo su stili di vita frugali. Poi deriviamo il fabbisogno energetico dei suddetti stili di vita (che poi a implementarli ce ne vorrà, ma facciamo pure queste ipotesi ottimistiche sul fabbisogno). Cosa ne risulta in termini di eolico (e fotovotaico) da installare nei prossimi decenni? Chi critica l'eolico ha mai fatto questi calcoli? Ha idea di quante turbine e pannelli saranno necessari per affrancarci dalle fonti fossili? L'alternativa sarebbero le centrali nucleari. Un'opzione che non demonizzo, ma che non credo risulterà più fattibile di quella solare-eolico che preferisco. È solo una questione di percezione, di framing culturale. Se inquadrato come necessario e positivo, l'eolico non deturpa. L'eolico abbellisce. Come le torri saracene lungo una costa. Ma molto più utili, non per la difesa da un nemico passato, ma come difesa per il pericolo numero uno del nostro tempo: il cambiamento climatico.


23. SONO CONTRO L'EOLICO PERCHÈ L'ITALIA DEVE PUNTARE SULL'AGRICOLTURA SOSTENIBILE E IL TURISMO
E dove sarebbe la contraddizione tra eolico,  agricoltura sostenibile e turismo? Si potrebbe anche definire una sinergia:


  • Per l'agricoltura l'argomento del consumo di suolo non regge, come discusso al punto 13. L'eolico è compatibile con agricoltura, pastorizia e silvicoltura. Al contrario, è possibile tracciare una sinergia tra agricoltura sostenibile e parchi eolici. Questi aumentano le possibilità di reddito su terreni marginali, quindi contribuiscono ad evitare lo spopolamento di tali territori.
  • Per il turismo, si osserva come un eolico ben inserito paesaggisticamente, fatte salve le aree vincolate per i motivi di cui al punto 6, possa contribuire positivamente al turismo. Non tutti i paesaggi italiani possono sollevare l'eccezione storico-culturale. Per quei paesaggi con presenza antropica moderna, l'eolico è anche paesaggisticamente un'opportunità. Potremmo avere l'eolico più bello del mondo. Non sono forse i parchi eolici a comparire spesso nelle fotografie di viaggio?  Segno di una sensibilità diffusa che riconosce a quelle torri d'acciaio un simbolo di superamento delle negatività della modernità.



24. MA IN ITALIA L'EOLICO È STATO SVILUPPATO MALE
Ad integrazione, e come “riparazione”, se vi sono sembrato troppo pro-eolico, concludo con l'osservazione  che a me il come si sia diffuso l’eolico in Italia piace ben poco. 
L’esperienza di riferimento sarebbe dovuta essere quella delle cooperative danesi (che in parte sono state anche riprodotte in Germania).
In Danimarca sono le comunità locali che hanno un ruolo nell’investimento e nella gestione.
In Italia non è stato così, ed è un limite, per gli aspetti socio-economici. Sì, questa critica è fondata, gli anti-eolici qualcosa di giusto l'hanno pur detta. 


IN SINTESI
Alla luce di quanto argomentato nei punti precedenti, quale sarebbe l'impatto ambientale dell'eolico che giustificherebbe gli allarmi che spesso si sentono? Basta seguire le normali procedure di valutazione per le distanze dalle abitazioni, per l'inserimento paesaggistico, e per l'eventuale criticità su habitat riproduttivi dell'avifauna in via d'estinzione, e, in caso di esito positivo, l'eolico risulta essere la più benigna delle fonti energetiche. 


BIBLIOGRAFIA MINIMA

- Sulla fattibilità tecnico-economica di solare-eolico-idro per soddisfare il 100% del fabbisogno energetico dell'umanità si vedano gli  studi di M. Z. Jacobson, Università di Stanford 

- Su simulazioni dettagliate di sistemi energetici basati su fonti rinnovabili variabili si vedano gli studi del Fraunhofer Institute di Friburgo 

- Sugli scenari spinti in termini di efficienza e sobrietà si vedano i rapporti tecnici del  gruppo négaWatt

- Sui flussi di materiali dell'eolico questo studio analizza la sostenibilità di lungo periodo dell'espansione dell'eolico


RINGRAZIAMENTI
Grazie a Ettore Lupo per commenti che hanno migliorato una prima bozza di questo post.

lunedì 22 settembre 2014

Trasporto Pubblico in Italia -- Spaghetti vs Menù Completo

La puntata di Presa Diretta del 21/9/2014 (qui il link al video) sul trasporto pubblico locale è stata una boccata d'aria fresca nell'asfissiante panorama televisivo italiano. 
Finalmente un reportage che evidenzia i nessi tra crisi occupazionale, città invivibili per il traffico, e carenze della pianificazione dei trasporti pubblici in Italia rispetto alle migliori pratiche europee.
Ciò premesso, la tessitura del racconto giornalistico (che inizia e finisce sulla vertenza Iveco-Bus)  ha delle smagliature. Un teleascoltatore potrebbe concludere che la questione centrale del trasporto urbano in Italia sia oggi il rinnovo del parco autobus. Sarebbe una conclusione semplicistica, perché il solo rinnovo delle flotte autobus non porterebbe a cambi strutturali.
Questo perché è la predominanza della modalità autobus che costituisce il fattore strutturale dell'inferiorità del trasporto pubblico in Italia.

LA RETE DI SPAGHETTI CHE NON FA RETE
Per visualizzare la "rete" tipica di TPL in un'area urbana italiana basta immaginare una mappa sulla quale si sparpagliano un bel po' di spaghetti cotti (quindi flessibili), le linee di autobus. Queste linee cercano di collegare alcuni punti focali, quindi hanno degli addensamenti in alcune aree, e poi si diradano nelle periferie. La rete che ne risulta ha una buona (apparente) copertura. Ma risulta sistematicamente inefficace e costosa da operare. Questo perché le singole linee non hanno i volumi di traffico tali da giustificare corsie prioritarie. Mancando le corsie prioritarie le velocità sono bassissime, e quindi non attraggono passeggeri. E si instaura così un circolo vizioso lato domanda. Inoltre, queste linee lente sono pessime anche dal punto di vista economico. Per una data capacità offerta, la bassa velocità implica più autobus (e quindi autisti) in servizio. La produttività è quindi bassa. Fenomeno amplificato dalla scelta modale su gomma. Un autista su un autobus offre una capacità al massimo di 180 posti (autobus articolato). 
Lo stesso autista su un sistema basato su ferro (metro, metro leggera, ferrovia regionale) può offrire capacità per unità di trasporto di molto maggiori rispetto all'autobus.

La debolezza sistemica del trasporto pubblico italiano non è quindi la vetustà del parco autobus, ma la sostanziale mono-modalità (gomma) e la mancanza di linee urbane ad alta capacità su corsie prioritarie. 
Queste dorsali sono quelle che aprono la città alla mobilità libera dall'automobile privata.
Nel reportage da Nantes la giornalista, peraltro brava, ha omesso di evidenziare come il ridisegno dei trasporti pubblici di quella cittadina sia partito con un notevole investimento su una rete tranviaria (43,5 km per meno di 300mila abitanti).
Infatti, le linee autobus dovrebbero essere limitate al servizio di una rete di secondo livello per alimentare la rete di primo livello basata su ferro.
Altrimenti si richiede troppo al mezzo autobus che, annegato nel traffico, non può offrire le capacità e le velocità necessarie per soppiantare l'automobile privata.
Ed è illusorio sperare che l'autobus, la gomma, possa negoziare tali priorità, perché i decisori pubblici non riuscirebbero a tenere il punto di fronte ai mille micro-interessi (parcheggi per i negozi, etc), che tali corsie prioritarie scatenerebbero. L'intrinseca flessibilità dell'autobus, è il suo punto debole, perché alimenta le attese per "aggiustamenti", "deviazioni", "eccezioni", che portano poi alla cannibalizzazione degli spazi destinati al trasporto pubblico.
Come argomentato brillantemente dal Prof Vukan Vuchic, nelle aree densamente urbanizzate la flessibilità è uno svantaggio, mentre la persistenza, tipica dei sistemi su ferro, è un vantaggio. 
Gli autobus su corsie dedicate (in inglese BRT, bus rapid transit) sono spesso una chimera per le città ad alta densità di automobili dell'occidente industrializzato.
Il BRT è una formula che si sta dimostrando di successo per le megalopoli in via d'industrializzazione perché lì i bassi costi del lavoro (quindi bassi costi per l'erogazione di un servizio labour intensive), la disponibilità ad accettare condizioni di comfort non esaltanti, e un tasso di motorizzazione ancora lontano da quello occidentale, porta a rendere tale sistema sufficientemente attrattivo, anche perché ha minori tempi di implementazione rispetto ai sistemi basati su ferro (sui costi il confronto non è così facile come alcuni pensano). 
Ma in Italia, se davvero si vuole ridurre il caos urbano, non c'è altra scelta che investimenti su ferro.
Senza la riduzione del numero di automobili per abitante, gli spazi urbani sono talmente congestionati da rendere impossibile o comunque difficile altre alternative come l'uso della bicicletta. E la mancanza di alternative all'automobile rafforza il ciclo di dipendenza, e quindi degli alti costi privati e pubblici, dell'inquinamento, etc. (qualche altro commento energetico-ambientale su queste dinamiche in questo post).

C'è però uno sconveniente corollario di questa analisi.
L'arretratezza del trasporto pubblico non è solo un problema di politica corrotta.
Concentrare gli investimenti sulle dorsali urbane richiede scelte politicamente difficili. 
Bisogna scegliere quali parti di un territorio avranno una rete di trasporto rapido e quali invece no.
Politicamente è molto più comodo garantire a tutti l'accesso a qualche spaghetto.  
Ma serve anche la carne, che, si sa, offre  ferro biodisponibile.









 

 

domenica 18 maggio 2014

Shell "risponde" sulla bolla del carbonio.....

L'iniziativa di Carbon Tracker sui rischi per gli investitori causati dalla bolla del carbonio deve aver colpito nel segno se la Shell si è affrettata a rispondere con una lunga lettera pubblicata qui.

Peccato per la Shell che soltanto un lettore superficiale può essere convinto da tale risposta.
Shell afferma che il problema del cambiamento climatico può essere risolto........(rulli di tamburi).......nel corso di questo secolo. Secondo Shell, soltanto piccoli cambiamenti nel sistema energetico mondiale accadranno nel breve periodo. Invece, sul lungo periodo, oltre il 2050, qualcosa cambierà e le emissioni di gas serra scenderanno. Ma questi scenari della Shell NON sono compatibili con la stabilizzazione climatica che richiede riduzioni drastiche dei gas serra subito!
Shell lo afferma indirettamente  perché basa la sua risposta sul confronto tra i suoi scenari e quello NPS della IEA. Come discusso anche in questo precedente post, lo scenario NPS non è uno scenario di stabilizzazione climatica. Non è quindi una sorpresa che un confronto con NPS non  riveli rischi di bolla del carbonio. Nessuno aveva mai affermato ciò. E' lo scenario IEA 450 che invece è critico per le compagnie petrolifere. Su questo scenario Shell glissa, gli dedica soltanto rapide menzioni a partire da pag. 6, e lo fa per sottolinearne l'improbabilità politica.

Con candore Shell dice che non ritiene possibile una stabilizzazione climatica effettiva e rimanda alle calende greche la transizione energetica.
Non c'è da meravigliarsi di questa posizione, ma questa non è una risposta sui rischi degli investitori in uno scenario regolativo.
Infatti, come ampiamente argomentato dagli analisti di Carbon Tracker, in uno scenario regolativo non solo le quantità di combustibili fossili si riducono, ma anche i prezzi vengono abbattuti.

C'è di più. Shell gioca molto sull'importanza della tecnologia CCS per limitare l'impatto  regolativo sulla domanda dei combustibili fossili. Può legittimamente farlo perché l'Executive Summary dell'WG3-IPCC ha assegnato a questa tecnologia un ruolo significativo. Ma sappiamo anche a quali pressioni questo executive summary è stato sottoposto da parte di paesi che beneficiano delle rendite fossili. Se il CCS sarà o non sarà determinante lo si scoprirà presto. Ma le premesse non sono buone. A pag 15, figura 13, Shell presenta un grafico dei costi delle tecnologie per CO2 evitata. La fonte è un rapporto del 2013 di una associazione di settore che promuove la tecnologia. In questo rapporto del 2013 tale figura fa riferimento ad un ulteriore rapporto del 2011. Stime di costo su fotovoltaico e eolico così datate sono ormai da buttare perché queste tecnologie sono in fase di crescita esponenziale, e i costi stanno scendendo superando anche le previsioni più ottimistiche. Quindi è tutto da dimostrare che il CCS, ancora non provato alla scala necessaria, riesca ad essere una opzione economicamente valida.

Se soltanto  questo gli analisti Shell sono riusciti a rispondere, beh, non depone bene per il loro futuro. 


sabato 17 maggio 2014

Sui trucchi logaritmici degli sviluppisti fossili


Quante volte abbiamo dovuto sorbirci gli accorati appelli allo sviluppo energetico di petrolieri e compagnia. Senza la crescita dell'offerta d'energia si bloccherebbe il progresso, o peggio, si rischierebbe il ritorno alle piaghe di fame, freddo, etc. (l'accusa del "ritorno alle candele"). 
I più sofisticati esponenti della compagnia fossile  indicano una relazione lineare tra consumo d'energia e PIL. Grafici come quello seguente vengono portati come prova di questa ipotizzata legge ferrea. Dunque, chi ostacola per ragioni ambientali lo sviluppo delle fonti fossili (megacentrali a carbone, trivelle, etc) porterà, secondo questa linea di pensiero, ad una riduzione del PIL (quando la lobby fossile sfoggia cultura parla di  "tradeoff tra ambiente e sviluppo").

Fabbisogno energetico pro capite espresso in tep, tonnellate equivalenti di petrolio, e PIL pro capite, anno 2010. Grafico da Gapminder

Il diavolo, come sempre, sta nei dettagli. L'ipotesi di una relazione lineare tra consumo d'energia e progresso umano  è facilmente confutabile. Il grafico precedente, infatti, presenta ben due errori:
  1. Utilizza il PIL per abitante come indicatore di progresso socio-economico. Questo utilizzo del PIL è improprio, perché il PIL misura qualsiasi attività economica, anche quelle indesiderate  (come quelle che seguono dei cataclismi), o di estrazione non sostenibile di risorse naturali.
  2. Il grafico riporta i dati su scala logaritmica. La scala logaritmica permette di evidenziare trend, ma comprime differenze significative.
Utilizzando come indicatore di progresso lo Human Development Index delle Nazioni Unite, e plottando i dati su scale lineari, si ottiene una diversa rappresentazione, come da grafico seguente.


Fabbisogno energetico pro capite espresso in tep, tonnellate equivalenti di petrolio, e Human Development Index, anno 2010. Grafico da Gapminder

In questo secondo grafico si osserva che sì, l'aumento del consumo energetico produce un forte aumento della qualità della vita. Ma questo effetto positivo dell'offerta energetica raggiunge presto la saturazione. Scarsa disponibilità energetica   è associata a condizioni di vita penibili. Ma per accedere ai livelli alti della qualità della vita non è necessaria molta energia. Oltre la soglia dei 2 tep per abitante-anno l'indice HDI è pressoché stabile. Anzi, si potrebbe utilizzare questo grafico per affermare che oltre i 7 tep  si ha del regresso!
Queste relazioni hanno un chiaro riferimento tecnico. Quando le soli fonti di energia sono quelle pre-moderne (legna, lavoro muscolare) le possibilità di condizioni di vita elevate sono escluse alla gran parte della popolazione. Il lavoro estenuante in agricoltura e nella gestione domestica (raccolta legna, approvvigionamento acqua, etc) preclude l'accesso all'istruzione e si ha un circolo vizioso che intrappola verso il basso. La meccanizzazione, le reti idriche, etc, permettono un importante salto qualitativo. Ma una volta soddisfatti questi bisogni primari, maggiore disponibilità energetica non è necessariamente associata a migliori condizioni di vita. Anzi, si può avere un effetto negativo attraverso dinamiche tipo Dutch disease, o di corruzione indotta dalla prevalenza delle rendite. Nel grafico precedente si può osservare come paesi mediorientali produttori di idrocarburi (punti in verde oltre i 6 tep/ab), presentino bassi livelli dell'HDI rispetto all'alto consumo energetico pro capite. Questo per chi idealizza la "fortuna" di avere risorse petrolifere. In media, invece, è una sfortuna.

Queste considerazioni sono solo preliminari rispetto alla critica dello sviluppismo energetico. Infatti, i dati indicano che sicuramente esiste un effetto saturazione, e probabilmente anche un effetto negativo dell'abbondanza energetica. Ma questi dati raccontano soltanto dell'esistente, non del possibile. Esistono notevoli margini di miglioramento tecnico (efficienza), e di riduzione dei consumi grazie a stili di vita diversi (sobrietà). Su quest'ultimo fattore, gli stili di vita, è lecito lo scetticismo perché non è detto che si realizzeranno gli auspicati cambiamenti. Ma comunque sappiamo che i miglioramenti possibili in termini di efficienza sono grandi, e sono anche in grado di assorbire effetti rimbalzo. Per esempio, nei trasporti, che rappresentano un terzo dei consumi energetici, lo spreco energetico imputabile alla attuale tecnologia, i motori a combustione interna, rappresenta circa i due terzi del consumo (si veda questo post). Quindi, un potenziale di riduzione di circa il 20% del totale. Sommando i possibili risparmi negli altri settori si può mostrare come un'alta qualità della vita, non vincolata dalla scarsità energetica, sia ottenibile con 1,5 tep pro capite. Come riferimento, l'Italia è oggi a 2,8 tep. La priorità dovrebbe essere su come estrarre energia da questi giacimenti di risparmio, e su come rendere sostenibile il rimanente, emancipandoci dalla dipendenza dagli idrocarburi.  Di trivelle e megacentrali ne hanno bisogno solo i lobbisti fossili.
Speriamo presto di poter cambiare anche le unità di misura del dibattito energetico. Fino ad oggi, a causa del ruolo predominante del petrolio, l'unità di riferimento  è il tep. Nell'auspicata transizione guidata da solare-eolico, rinnovabili elettriche, l'unità di misura sarà il kWh (il valore 1,5 tep  corrisponde a circa 17500 kWh).  











venerdì 16 maggio 2014

Errare è umano, perseverare....

In una intervista a QualeEnergia, Nichi Vendola cerca di rispondere alle critiche ricevute in merito alle sue dichiarazioni offuscatrici contro l'eolico e il solare.
Rispetto alle osservazioni già scritte in questo post, possiamo adesso aggiungerne altre. 
Perché Vendola (o il genio che gli scrive queste risposte) continua a far confusione. 
Vendola asserisce che le preoccupazioni che lui esprime sul consumo di suolo di solare-eolico sono legittime e trovano riferimento nientepopodimeno che nella discussione europea su land-use/carbon sink.
Peccato però che land-use/carbon sink per l'eolico o il solare non c'azzeccano. Quello è un criterio che vale per le biomasse! Un'altra perla del Vendola-pensiero. 

Gli manca l'abc.