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martedì 26 aprile 2016

Ufficializzato la status dei finti combustibili "bio"



Era ora!
Finalmente rilasciato il rapporto UE sui biocarburanti (link).
Il biodiesel da colture alimentari è un disastro, anche climatico.
Il bioetanolo in media è meglio, ma anche qui il gioco non vale la candela.
Sarà necessaria una svolta ad U su questa che si credeva essere una leva per de-carbonizzare il settore dei trasporti.
Vari "gufi" da tempo l'avevano detto, ma inascoltati.
Questo rapporto (link) del WRI già un anno fa l'aveva impallinato. 
Adesso finalmente arriva il rapporto Globiom che l'UE aveva rallentato per non scoprire il segreto di pulcinella della sua strategia fallimentare di ambientalizzazione dei trasporti. 
A molti conveniva fare gli struzzi sul biodiesel.
Conveniva all'industria automobilistica europea che aveva puntato sulla motorizzazione diesel come strategia di arrocco rispetto alla competizione asiatica. 
Conveniva alle lobby agricole perché i biocarburanti davano una valvola di sicurezza sulle eccedenze e mantenevano i prezzi alti. Conveniva ai tanti europarlamentari che potevano farsi belli su strategie non problematiche per lo status quo. 
Conveniva a molti ma non al clima,  alla qualità dell'aria nelle città, all'innovazione dell'industria europea, alle popolazioni povere colpite dall'aumento dei prezzi delle derrate agricole, in parte causato da queste strategie.

lunedì 18 aprile 2016

Se 13 milioni vi sembran pochi

Oggi, a scrutinio effettuato, contiamo circa 13 milioni di "Si", più un 2 milioni di "No" e schede bianche e nulle, che comunque indicano elettori refrattari agli ukase renziani.
Il mancato raggiungimento del quorum non è una sconfitta per cui stracciarsi le vesti.
Anche solo pochi anni fa sarebbe stato impossibile pensare di sfidare le fonti fossili, dalle quali dipendiamo così fortemente, e rispetto alle quali gli italiani sono così assuefatti e contenti (feticismo dell'automobile, sottovalutazione dei danni dell'inquinamento, etc).
Ben 13 milioni di voti sono incoraggianti.
Essere sconfitti avanzando va ancora bene.
Ma anche dalle sconfitte minori si possono trarre degli utili insegnamenti.

Il variegato mondo ambientalista ha anche ritardi culturali, in quanto è affetto da tecno-fobia, o meglio, mancanza di realismo tecnico.
Lo si vede quando emergono posizioni aprioristiche contro i parchi eolici, gli impianti fotovoltaici a terra, gli elettrodotti, le tranvie, etc.
È su questo ventre molle che ha inciso più duramente la falsa propaganda astensionista che ha goduto di tali assist.
Non è la prima volta che lo sostengo, l'avevo detto anche prima del referendum, non mi piacciono i falsi unanimismi.
I "nostri" velleitari sono i migliori alleati dello status quo. Dettagli a questo precedente post (link).

sabato 16 aprile 2016

Ricatto occupazionale, zero strategia industriale, ovvero del continuo avvitamento verso il basso del PD (effetto mentale delle trivelle?)


La continua involuzione del PD è ben rappresentata da questo video contro il referendum che gioca sul ricatto occupazionale.
Tralasciamo gli aspetti ambientali locali. Se le cozze vicino alle piattaforme siano commestibili o meno è un dettaglio.
Tralasciamo anche la questione, non secondaria, della differenza tra impatto ambientale in esercizio normale, e incidente rilevante. 
Guardiamo soltanto alla dimensione occupazionale. 

Innanzitutto, con questi lavoratori un vero partito di sinistra dovrebbe condividere la consapevolezza che nei prossimi trent'anni l'umanità ha davanti a sé una sfida gigantesca: abbandonare le fonti energetiche fossili. Dato che serviranno trent'anni per questa transizione è vero che da domani mattina non possiamo fare a meno di queste fonti energetiche.
Ma dovendo consumarne sempre meno, i giacimenti marginali come quelli italiani sono fuori mercato. 
Insistere sul trivellare in Italia è "accanimento terapeutico" come, non il sottoscritto, ma uno dei maggiori esperti mondiali di idrocarburi, Leonardo Maugeri, ex-ENI, ha più volte dichiarato.
Per questa ossessione trivellatrice in Italia non c'è un positivo rapporto tra benefici e costi (costo opportunità per altri usi del territorio, e marginalità dei giacimenti).
Non a caso abbiamo royalty bassissime, e meccanismi come le franchigie che permettono di aggirare le pur basse royalty.
La norma che il referendum vuole abrogare è un sussidio nascosto perché allunga sine die le concessioni, di fatto regalando ai concessionari un bene pubblico.
È soltanto grazie a questi trucchi che le marginali risorse italiane "reggono".
Sarebbe invece nell'interesse di questi lavoratori preoccuparsi della vacuità di tali strategie basate su arzigogolazioni normative, che potrebbero anche esser spazzate via da legittime azioni europee (link).
Che senso occupazionale ha difendere ciò che è già in crisi perché non ha futuro?
Perché il PD non si preoccupa di definire strategie industriali per la riconversione energetica?
La cantieristica attualmente utilizzata per le piattaforme estrattive può essere riconvertita per le installazioni di turbine eoliche in mare (vedi esempi in Scozia, link). 
 Senza questo,...
...e questo...
...non si ottiene questo.
Fonte: https://www.flickr.com/photos/vattenfall/3581237503/sizes/l/in/photostream/

Sull'eolico in mare persino la Francia investe (link). E la Francia non ha un'immediata urgenza perché il suo nucleare già gli garantisce un settore elettrico a basse emissioni di CO2 (ma deve preoccuparsi della vetustà di quel parco centrali, e delle dismissioni che difficilmente potranno ancora essere sulla filiera nucleare, quindi, anche la Francia ha una seria politica sulle rinnovabili). 

L'Italia sull'eolico in mare dovrebbe fare molto di più, e invece fa persino meno della Francia! 

Inoltre, l'Italia ha un grande ritardo infrastrutturale sulle reti urbane ed extra-urbane su ferro. L'Italia aveva un'eccellenza industriale su questo settore con Ansaldo-Breda. Eppure, questa azienda è stata venduta ai giapponesi dell'Hitachi. Venduta, oppure svenduta, come le prime indagini di un'inchiesta della magistratura fanno pensare (link)? 
Vogliamo parlare poi del grande sbaglio dell'industria automobilistica italiana sulla trazione elettrica (Marchionne per anni non ha fatto che denigrare tale opzione (link) e adesso questa è l'unica componente di quel mercato in forte crescita).
Ma chi è stato al ministero "competente" in questi anni?
Ah, sì, la figlia di papà Guidi (confindustria) fidanzata del faccendiere dei petrolieri. Ministro dello sviluppo economico della famiglia sua.
Ma in tutto questo, i lavoratori che c'entrano?
A mio modesto avviso, sono solo ostaggio di una politica inadeguata (per usare un eufemismo), che non tutela affatto i loro interessi.
Che partito triste il PD.

lunedì 11 aprile 2016

Norvegia, bel mar di nero amore



Sulla fallacia del "facciamo come in Norvegia, trivelliamo il mare, se ne avvantaggerebbe il welfare, etc".

A) Il Mare del Nord non è il Mediterraneo 1. 
Il nostro mare è sostanzialmente chiuso e con un già elevato inquinamento. Ammesso che la probabilità di un incidente sia simile tra una piattaforma norvegese e una italiana, gli impatti ambientali sarebbero ben diversi. Come questi studi mostrano (link), i danni qui sarebbero "incalcolabili". Ci sarà pure qualche motivo per cui Croazia e Francia hanno deciso una moratoria alle trivellazioni nel Mediterraneo? I petrolieri insistono che possono operare in sicurezza? Benissimo, prendiamoli in parola, che andassero a stipulare polizze assicurative onnicomprensive per tutti i rischi di incidente. I Lloyds londinesi assicurano di tutto. Provassero anche con questo. Se il rischio non esiste una tale polizza sarebbe a basso costo. Lo facessero perché di profitti privati ed esternalità scaricate sul pubblico ne causano già tante, Quando è troppo è troppo.




















sabato 9 aprile 2016

Le Scoppiettanti e Plastiche Bufale di Lorsignor Petrolieri

Questa "infografica" della lobby petrolifera, per tentare di denigrare Greenpeace, racchiude molte delle bufale a cui lorsignori ricorrono.
Tralascio la linea argomentativa dei vasti potenziali di risparmio energetico (in questo altro post confuto la stretta dipendenza tra aumento dell'offerta energetica e qualità della vita (link)).
Mi limiterò qui alla confutazione dell'insostituibilità del petrolio come fonte di energia e come input di processi industriali. È questa presunta insostituibilità che è il falso alibi di cui si coprono i petrolieri per giustificare le loro "corsie riservate", l'urgenza, per esempio in provvedimenti come il cosiddetto "Sblocca Italia".


Fibre derivate dal petrolio!!!1!!1!!!
Notate come si rimarca che l'attivista abbia indumenti ottenuti con fibre derivate dal petrolio. Ebbene, non è questione dirimente e spiego perché. 
  •  Le fibre tessili sono derivabili anche da fonti non-fossili e rinnovabili. C'è un intero settore detto "chimica verde" che si sta sviluppando (link). L'Italia ne è all'avanguardia, non buttiamoci la zappa sui piedi sostenendo la filiera fossile. 
  • Greenpeace ha anche una campagna sull'argomento. Cercate "greenpeace detox" su aspetti correlati (link). 
  • Ma soprattutto, a parte gli aspetti di tossicità delle filiere, la questione rispetto al problema principale del cambiamento climatico è irrilevante. I quantitativi di petrolio estratti per questi usi tessili sono bazzecole rispetto a quelli per gli usi energetici (si veda il grafico seguente). Non è detto che questa linea "fossile" non continui ad esistere anche in uno scenario eco-sostenibile. La priorità è evitare l'immissione netta di anidride carbonica in atmosfera. La priorità è quindi evitare la combustione delle fonti fossili. C'è anche chi si è esercitato in scenari, per diminuire l'opposizione della lobby fossile, dove qualche attività estrattiva rimane per queste e nuove filiere (fibra di carbonio). Ma comunque, non certo da trivelle nel mare verrebbe questo petrolio, ma da siti più economici. Nella misura in cui questi flussi sono fortemente ridotti, e si evitano le combustioni, i problemi ambientali sono fortemente ridimensionati.

Bilancio mondiale degli usi energetici al 2013. Gli usi tessili del petrolio sono circa un millesimo delle estrazioni. Fonte IEA (link)

In sintesi, questi usi tessili del petrolio non sono una priorità rispetto all'emergenza del cambiamento climatico, ed esistono alternative. 
Il quadro è un po' più complesso per altri usi non energetici del petrolio (asfalto, lubrificanti, etc), ma ognuno di questi usi può avere le sue politiche specifiche di diminuzione degli impatti. Chi è curioso può verificare lo stato dell'arte degli usi non energetici in ambito industriale nel capitolo 10 dell'AR5-WG3-IPCC (link). 

"Motore a scoppio", che orrore signora mia!!!! 
Buona parte degli usi energetici del petrolio avviene nel trasporto (si veda l'illustrazione precedente). E questi usi avvengono in gran parte in luoghi (le città) e su percorrenze tali da rendere l'elettrificazione non solo possibile, ma anche auspicabile per i co-benefici sanitari. 
Il vantaggio del motore elettrico deriva da un guadagno di un fattore 3 in efficienza rispetto ad analogo motore a combustione interna, e dall'assenza di emissioni inquinanti nella fase di esercizio.

Nello status quo, questi sono i flussi energetici nel settore del trasporto a scala mondiale (figura seguente, si veda anche questo precedente post  (link)).
Tratto dal Capitolo 8 dell'AR5-WG3-IPCC (link)


Per buona parte il petrolio nei trasporti è sostituibile con tecnologie esistenti, o con tecnologie che stanno persino eccedendo i target sulle loro traiettorie tecnologiche (si veda illustrazione seguente).
Fonte M. Liebreich, Bloomberg, 2016 (link)
Ma rimane vero che ci sono usi come quelli marittimi che non possono essere elettrificati  (con pochissime eccezioni) per ragioni di bassa densità energetica degli accumuli. Questo vale anche per il settore del trasporto aereo. 
Che si fa per questi usi se dobbiamo andare verso zero emissioni nette di gas serra in atmosfera? 
La tecnologia anche qui è conosciuta. Non è vero che il petrolio sia insostituibile neanche in questi usi. Sappiamo come produrre combustibili liquidi e gassosi da bio-residui. Ma oggettivamente questo potenziale è limitato, perché queste filiere possono avere danni collaterali. Qualcosa si può fare, ma con judicio. 
Ma soprattutto abbiamo altre tecnologie per produrre combustibili liquidi e gassosi. Si chiamano "power-to-liquid", e "power-to-gas". Avendo come input primario dell'elettricità (che ovviamente deve essere da fonte rinnovabile, altrimenti non ha senso) si possono ottenere i combustibili che più si desiderano per qualsivoglia applicazione: idrogeno, metano, metanolo, diesel. Sì, anche diesel per i grandi motori navali, o kerosene per gli aerei, etc. Affinché tali processi abbiano anche senso economico, oltre a quello ambientale, abbiamo bisogno di un input elettrico a bassissimo costo. Ed inoltre, tale input deve essere disponibile per almeno 6000 ore/anno, altrimenti abbiamo diseconomie lato costo di impianto di trasformazione. Ma non è questo un vincolo perché su questo pianeta abbiamo un'abbondanza di aree geografiche dove è possibile con una combinazione di solare ed eolico ottenere più di 6000 ore annue di disponibilità: la Patagonia e la fascia centrale degli USA, l'Atlante marocchino e la penisola somala, etc (si veda la figura seguente).
Le zone in rosso sono quelle con un numero di ore annuo di disponibilità eolico-solare tale da giustificare impianti di produzione di RE-diesel (diesel da fonte rinnovabile). Fonte Fasihi et al, 2016 (link)
Come premettevo, deve realizzarsi anche la condizione di un input elettrico rinnovabile a basso costo. Ma la novità è che a questo punto di svolta ci siamo già arrivati, e con molti anni di anticipo rispetto alle previsioni più ottimistiche che si facevano anche solo un decennio fa!!!!
 Nella disinformazione spinta dalla lobby fossile si lascia intendere che invece le rinnovabili abbiano costi altissimi. Falso, i costi alti erano veri soltanto nella fase iniziale di sviluppo di tali fonti (com'è normale che sia). Questa fase è ormai alle nostre spalle. Da qui il terrore, il panico dei fossilisti, che non sanno più cosa inventarsi per ritardare l'avanzata delle rinnovabili.
Per mettere in prospettiva questo stato dell'arte occorre indicare alcune cifre chiave.
L'articolo di Fasihi e coautori fa riferimento ad un scenario prossimo (2030) dove l'input elettrico richiesto per tali impianti power-to-liquid sia inferiore a 3 centesimi di euro per kWh (si veda l'illustrazione in basso a sinistra nella figura seguente (dove il costo dell'elettricità è riportato in euro per MWh, basta dividere per mille per avere il più immediatamente comprensibile valore in centesimi per kWh).

Queste stime al 2030 sono forse anche prudenti perché già oggi abbiamo progetti aggiudicati per vendere (e se vendono vuol dire che chi li realizza ci guadagna) a prezzi (quindi, non costi) intorno ai 3 centesimi al kWh (figura seguente, notare come queste cifre siano espresse in dollari US, quindi, al cambio attuale siamo per l'eolico già sotto la soglia dei 3 centesimi di euro per kWh).


Vi sarete sorpresi di vedere dalla figura precedente come i due progetti che a livello mondiale ad inizio 2016 hanno il prezzo di vendita minore dell'elettricità siano prodotti da una certa ENEL....all'estero. Certo, qui parliamo di grandi taglie in località dalla grande disponibilità di sole e vento. Questi valori non sono riproducibili in Italia, almeno per ora. Ma rispetto all'obiettivo della realizzazione di impianti power-to-liquid non è rilevante, comunque andrebbero realizzati in altre aree geografiche, e per aggredire le fonti fossili italiane nel settore elettrico è sufficiente rimanere entro i 6 centesimi. E ci saremmo già se solo non si fosse bloccato il settore, ci sono troppi impianti a fonti fossili che verrebbero spazzati via. Quindi, continuiamo ad inquinarci, e a trivellare, e a importare gas. Agli italiani non facciamo sapere queste cifre, devono essere convinti che l'equilibrio della bilancia dei pagamenti si difende con le trivelle!

Ma, nonostante i freni imposti in Italia,  il progresso prosegue, e con una curva straordinaria. Nella figura seguente i record realizzati dal fotovoltaico in termini di riduzione di costo.



Questi andamenti vengono meglio capiti se riportati in scala logaritmica, con le cosiddette "curve di apprendimento" (figura seguente per eolico, a sinistra, e fotovoltaico, a destra).


Il fotovoltaico è riuscito ad ottenere un tasso di miglioramento del 24%, un risultato che pochi speravano.
Per dare la prospettiva storica in questo precedente post riportavo i confronti tra quello che si è realizzato rispetto a quello che gli ottimisti prevedevano un ventennio fa (link).
Per farla breve, in base alle previsioni basate sulla curva di apprendimento della figura seguente, si stimavano obiettivi per il fotovoltaico che sono stati raggiunti due volte prima. E un fattore due di miglioramento su questo tipo di analisi è sorprendente!

Le basi "fisiche" di queste realtà tecniche le ha bien spiegate il fisico inglese Keith Barnham nel suo libro divulgativo "The Burning Answer: A User's Guide to the Solar Revolution" (link) (lettura caldamente consigliata, almeno per la parte fisica, sulla parte economica ho qualche riserva).

In chiusura devo rimarcare  che i costi dei processi power-to-liquid (così come quelli power-to-gas) sono competitivi rispetto ai combustibili fossili, se, però, si ha l'onestà di considerare i due tipi di combustibili a parità di condizioni. I combustibili derivati da input elettro-rinnovabile (con il carbonio estratto dall'atmosfera, o dall'acqua del mare, e l'idrogeno dall'acqua) chiudono il loro ciclo del carbonio. I combustibili da fonti fossili invece no. È sufficiente considerare tale differenza per far pendere la bilancia dal lato di queste alternative (si veda l'articolo di Fasihi et al, 2016 (link)).

Quindi, non esiste nessuna "strategicità" delle fonti fossili.
Non sono insostituibili.
Sono invece inquinanti, non solo per l'ambiente, ma anche per la democrazia.
Perché hanno bisogno di veri e propri apparati di disinformazione al loro servizio.
Questi apparati nuocciono anche a te.
Falli smettere, il 17 Aprile vota e fai votare SI.

lunedì 4 aprile 2016

Referendum 17 Aprile: "SI", con un solo "MA"



Voterò SI al referendum del 17 Aprile contro le trivelle.
Ho però un "MA" da esprimere, perché penso che la causa ecologista in Italia sia pregiudicata da tanti infondati luoghi comuni.
Se l'ecologia in Italia vuole fare un salto di qualità deve prima di tutto fare chiarezza al suo interno su alcuni punti dirimenti.
Il luogo comune promette prosperità, ma da ottenersi in modo "magico", attraverso alternative alle fonti fossili che si esprimono sempre tratteggiando scenari bucolici, micro, etc. Questo sfondo culturale va indagato e rigettato. L'errore di fondo di queste posizioni consiste nel sopravvalutare le potenzialità del risparmio energetico, e delle mini-rinnovabili. 
Stili di vita frugali e nuove tecnologie per l'efficienza energetica sono leve importantissime per vincere la sfida della de-carbonizzazione. Ma anche se si riuscisse, come auspico, ad azionare tutte queste leve per ridurre i consumi, il fabbisogno energetico rimanente sarebbe tutt'altro che banale.

Prendo ad esempio lo scenario per una Germania "verde" al 2050, elaborato da Henning e Palzer del Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems (ISE)  (qui le slide, che contengono anche la bibliografia).
Nel grafico seguente è riportata la riduzione del fabbisogno energetico primario della Germania al 2050. Per ridurre dell'81% le emissioni di CO2, e così centrare l'obiettivo della de-carbonizzazione, è necessario il dimezzamento del fabbisogno primario al 2050 rispetto ai valori attuali.


Energia primaria ed emissioni di CO2 in Germania al 2050 rispetto ai valori attuali.  Lo scenario al 2050 è di Henning e Palzer (ISE) (link)
Ammettiamo ora che tale dimezzamento del  fabbisogno energetico sia effettivamente realizzabile (gli studi tecnici possono valutare solo la fattibilità tecnico-economica, non quella socio-culturale). 
Rimangono, comunque, circa 1800 TWh/anno di energia da produrre (1800 *miliardi* di kWh/anno, per utilizzare una unità di misura di uso più comune).
Per far quadrare i conti con (prevalentemente, non esclusivamente)  fonti rinnovabili, che tipo e quantità di impianti sono necessari?
Il grafico seguente riporta questi dati per la parte di produzione elettrica.


Potenza elettrica in Germania al 2050, secondo lo scenario di Henning e Palzer (ISE) (link)


Dove sono in questo grafico le mini-rinnovabili?
Far quadrare i conti della de-carbonizzazione con prevalenza di rinnovabili è possibile, ma non stiamo certo parlando di pochi piccoli impianti:
  • 120 GW di eolico a terra, sono sessantamila (60.000) torri eoliche alte 100 metri;
  • 147 GW di fotovoltaico, sono circa 2,6 milioni di ettari (compresi gli spazi tra le file dei pannelli). Meno dell'1% del territorio tedesco. Fattibile (perché in parte i pannelli vanno anche sui tetti), ma non certo di dimensioni lillipuziane, per usare un eufemismo!

Per i coraggiosi, rimando ad altri studi degli stessi autori dove si simula una Germania nel 2050 al 100% alimentata con rinnovabili (spoiler, il numero di turbine eoliche e campi fotovoltaici aumenta non di poco!).

Alla luce di questi numeri si può capire come  decarbonizzare il sistema energetico con le rinnovabili non è esattamente un'opera "invisibile"!!!
L'ingombro visivo di turbine eoliche e pannelli è un risultato inevitabile. 

È soltanto controproducente lanciarsi in accorati esercizi retorici sulla "leggerezza" della transizione alle rinnovabili. Sarebbe molto meglio, con analitica freddezza, elencare i tantissimi vantaggi delle rinnovabili, assieme ai pochi svantaggi (l'ingombro visivo), e chiarire ai cittadini quelli che sono i veri numeri della questione. E cioè che eolico e solare dovranno far parte del paesaggio comune, non essere un'eccezione.

Le rinnovabili "piccole", di "nicchia" sono servite in una prima fase della transizione, quando ancora la loro relativa immaturità rendeva impossibile il confronto diretto con le fonti fossili. Occorreva difendere, appunto, una nicchia, per permettere a queste tecnologie di maturare. Ma bisogna essere consapevoli che la "nicchia" è irrilevante a risolvere i colossali problemi della de-carbonizzazione, e che l'acquisita maturità di eolico e solare permette ora di affrontare le fonti fossili sulla scala necessaria, che è quella *grande*.
La retorica del "piccolo è bello" è da superare. 

Purtroppo, anche ambientalisti ragionevoli si ritraggono da questa necessaria svolta argomentativa, tendendo sempre a inquadrare la transizione alle rinnovabili come una passeggiata in un Eden ancestrale.

Per esempio, è diffuso il tabù degli impianti fotovoltaici a terra. 
Perché costituirebbero un grave "consumo di suolo" nell'immaginifica immacolata campagna italiana.
Niente è più lontano dalla realtà di questa accusa. Si può legittimamente porre la questione dell'ingombro visivo. Ma il fotovoltaico  non costituisce un esempio negativo di consumo di suolo, per i seguenti motivi: 
  • Il suolo effettivamente cementificato in una centrale solare è solo una piccola parte della superficie complessiva (e si può ulteriormente ridurre con un minimo di attenzione). 
  • Il suolo destinato ad una centrale solare non presenta danni di lungo periodo, come invece accade per altre fonti energetiche. Inoltre, è compatibile con altri usi, quali quello dell'incremento della biodiversità per gli insetti impollinatori, e persino con la pastorizia.
  • La relativa efficienza del fotovoltaico rispetto alle altre fonti rinnovabili (in termini di energia per unità di supercie impiegata), fa si che dell'impegno di suolo ce ne possiamo tranquillamente disinteressare, perché ininfluente (maggiori dettagli in questo post)!

Se quindi la questione del consumo di suolo è ininfluente,  non lo è affatto la questione dei costi. Una centrale solare a terra può raggiungere costi di produzione bassi, e quindi posizionarsi per distruggere l'economicità delle fonti fossili.
È quindi totalmente irrazionale riverire questo totem eretto da qualcuno che ha problemi con l'aritmetica.

In conclusione, c'è ancora troppa timidezza nell'affrontare i miti anti-rinnovabili, perché si fa ancora riferimento ad un quadretto bucolico della transizione energetica. Piaccia o non piaccia, l'impresa è colossale e far finta del contrario  oggettivamente aiuta la lobby fossile che ha facile gioco a impallinare queste posizioni.
Tempo di aggiornare i concetti guida: 
"Grande è meglio"