Visualizzazioni totali

lunedì 11 aprile 2016

Norvegia, bel mar di nero amore



Sulla fallacia del "facciamo come in Norvegia, trivelliamo il mare, se ne avvantaggerebbe il welfare, etc".

A) Il Mare del Nord non è il Mediterraneo 1. 
Il nostro mare è sostanzialmente chiuso e con un già elevato inquinamento. Ammesso che la probabilità di un incidente sia simile tra una piattaforma norvegese e una italiana, gli impatti ambientali sarebbero ben diversi. Come questi studi mostrano (link), i danni qui sarebbero "incalcolabili". Ci sarà pure qualche motivo per cui Croazia e Francia hanno deciso una moratoria alle trivellazioni nel Mediterraneo? I petrolieri insistono che possono operare in sicurezza? Benissimo, prendiamoli in parola, che andassero a stipulare polizze assicurative onnicomprensive per tutti i rischi di incidente. I Lloyds londinesi assicurano di tutto. Provassero anche con questo. Se il rischio non esiste una tale polizza sarebbe a basso costo. Lo facessero perché di profitti privati ed esternalità scaricate sul pubblico ne causano già tante, Quando è troppo è troppo.





















B) Il Mare del Nord non è il Mediterraneo 2.
L'economia turistica delle coste (e del suolo) in Italia non è paragonabile a quella norvegese, con tutto il rispetto per quell'interessante paese. Questo fattore aumenta la dimensione degli impatti, oltre agli aspetti ambientali citati al punto precedente.

C) Roma non è Oslo 1.
Mi riferisco alle scelte fatte in materia di svendita di beni pubblici in Italia rispetto a quello che i norvegesi hanno praticato. 
La Norvegia ha puntato su una azienda a prevalente controllo pubblico, StatOil, (67% delle azioni in mano statale) i cui profitti sono non solo fortemente tassati ma anche allocati in un fondo di investimento inter-generazionale (link). 
Al contrario l'Italia ha privatizzato ENI (solo il 30% delle azioni è ancora in mano pubblica), e ha offerto condizioni iper-vantaggiose in termini di basse royalties, e franchigie (link).  Queste condizioni non solo pregiudicano l'interesse pubblico nell'immediato, ma aprono la strada a comportamenti opportunistici. I petrolieri per non pagare neanche le pur basse royalties potrebbero artificialmente allungare gli orizzonti temporali di vita tecnica delle piattaforme e così rimandando anche i costi per il loro smantellamento. Perché i petrolieri non vogliono smantellare le vecchie piattaforme? Queste attività di smantellamento non creerebbero dei posti di lavoro? Ah, no, questi sarebbero posti di lavoro che riducono i loro profitti, meglio aspettare, non si sa mai che se ne faccia carico il pubblico, nel classico schema dei profitti privatizzati e dei costi (e rischi) socializzati. Il socialismo all'incontrario che piace tanto a lorsignori.

D) Roma non è Oslo 2.
La capitale norvegese ha un serio programma di progressiva eliminazione del petrolio. Oslo prevede a breve la chiusura alle auto diesel e a benzina (link). Questo perché non solo la Norvegia è all'avanguardia nella diffusione delle auto elettriche ma anche offre grandi infrastrutture per la mobilità sostenibile (tram, treni regionali, piste ciclabili, etc).
Penetrazione dell'auto elettrica, confronto tra Norvegia e media mondiale

Mappa dei 131 km di linee tranviare della città di Oslo. E non hanno solo tram...
L'esatto contrario di quanto la nostra scellerata classe dirigente ha fatto, in modo bipartisan, in Italia e in particolare a Roma ("capitale corrotta...."). 
Quale credibilità hanno lorsignori per giustificare gli investimenti petroliferi come "misura temporanea"? 
Con l'andazzo italico, e con queste oligarchie confusionarie, il "temporaneo" si dilata sine die.

E) Siamo nel nuovo millennio, non negli anni '80 del secolo scorso. 
La Norvegia ha beneficiato dalle estrazioni petrolifere in un tempo in cui ancora le alternative erano deboli, e ancora non si era accettata a livello internazionale l'estrema urgenza per combattere il cambiamento climatico. 
Nuovi grappoli tecnologici sono invece ora disponibili (fotovoltaico e auto elettrica, etc, si veda questo post (link)). E non a caso la Norvegia investe su queste nuove tecnologie. Mentre l'Italia, negli ultimi anni, condizionata dalle lobby fossili ha tirato il freno a mano nonostante le grandi possibilità (link).

F) "Ma comunque anche nella transizione alle rinnovabili il petrolio servirà, la Norvegia continuerà ad estrarlo, etc."
In parte ciò è vero, ma l'argomento è comunque fuorviante. Dobbiamo decidere se accettare oppure no la sfida della decarbonizzazione. 
Se la risposta è no stiamo implicitamente sostenendo che degli equilibri climatici ce ne freghiamo e apriamo a scenari che al confronto i nazisti andrebbero riabilitati come degli angioletti.
Se invece la risposta è sì, le misure da mettere in atto prevedono uno sgonfiamento della cosiddetta "bolla del carbonio". La gran parte dei nuovi investimenti estrattivi deve essere fermata. Rimarrebbero attivi, per supportare la transizione, i giacimenti a basso costo di estrazione. Questo aspetto è spesso sottaciuto, perché ai petrolieri questo scenario non piace per niente, e ne hanno motivo. Agendo attraverso efficienza e rinnovabili si piega la domanda per le fonti fossili, e quindi si riducono i prezzi che queste fonti possono spuntare sul mercato. L'unica offerta che può rimanere sul mercato è quella a basso costo di estrazione, ed è anche un ulteriore beneficio ambientale perché la quota delle riserve a maggiore costo di estrazione è anche quella ad impatto maggiore (scisti bituminosi, etc). 
I giacimenti italiani si qualificano come a basso costo? Sono pronti i petrolieri ad accettare condizioni sulle royalties tipo quelle norvegesi? Se la risposta a  questa domanda è "no", di che stiamo parlando? Questo significa che le risorse italiane sono a costo alto, quindi sono quelle che che rientrano nella parte della bolla da sgonfiare (in questo precedente post alcune valutazioni sulla bolla finanziaria del carbonio (link)).
Ancora una volta, quello che vale per la Norvegia non vale per le modeste e marginali risorse italiane.


Sintesi
Quindi, per differenze ecosistemiche, di costo-opportunità, di quadro regolativo, di coscienza delle classi dirigenti (o sedicenti tali), e, soprattutto, di fase storica, l'esperienza norvegese non è neanche lontanamente paragonabile a questa insulsa volontà trivellatrice in Italia.
A proporre questo ardito paragone sono personaggi che si auto-definiscono "ottimisti e razionali", ma andrebbero riclassificati come "sofisti del menefrego".
Altro che "razionalità", tutto questo ricorda, semmai, altri errori strategici del nostro passato, fondati su roboante retorica, petti in fuori, e disprezzo della ragione.
Era "Tripoli bel suol d'amore", e oggi è "Norvegia, bel mar di nero amore".



Nessun commento:

Posta un commento