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domenica 18 maggio 2014

Shell "risponde" sulla bolla del carbonio.....

L'iniziativa di Carbon Tracker sui rischi per gli investitori causati dalla bolla del carbonio deve aver colpito nel segno se la Shell si è affrettata a rispondere con una lunga lettera pubblicata qui.

Peccato per la Shell che soltanto un lettore superficiale può essere convinto da tale risposta.
Shell afferma che il problema del cambiamento climatico può essere risolto........(rulli di tamburi).......nel corso di questo secolo. Secondo Shell, soltanto piccoli cambiamenti nel sistema energetico mondiale accadranno nel breve periodo. Invece, sul lungo periodo, oltre il 2050, qualcosa cambierà e le emissioni di gas serra scenderanno. Ma questi scenari della Shell NON sono compatibili con la stabilizzazione climatica che richiede riduzioni drastiche dei gas serra subito!
Shell lo afferma indirettamente  perché basa la sua risposta sul confronto tra i suoi scenari e quello NPS della IEA. Come discusso anche in questo precedente post, lo scenario NPS non è uno scenario di stabilizzazione climatica. Non è quindi una sorpresa che un confronto con NPS non  riveli rischi di bolla del carbonio. Nessuno aveva mai affermato ciò. E' lo scenario IEA 450 che invece è critico per le compagnie petrolifere. Su questo scenario Shell glissa, gli dedica soltanto rapide menzioni a partire da pag. 6, e lo fa per sottolinearne l'improbabilità politica.

Con candore Shell dice che non ritiene possibile una stabilizzazione climatica effettiva e rimanda alle calende greche la transizione energetica.
Non c'è da meravigliarsi di questa posizione, ma questa non è una risposta sui rischi degli investitori in uno scenario regolativo.
Infatti, come ampiamente argomentato dagli analisti di Carbon Tracker, in uno scenario regolativo non solo le quantità di combustibili fossili si riducono, ma anche i prezzi vengono abbattuti.

C'è di più. Shell gioca molto sull'importanza della tecnologia CCS per limitare l'impatto  regolativo sulla domanda dei combustibili fossili. Può legittimamente farlo perché l'Executive Summary dell'WG3-IPCC ha assegnato a questa tecnologia un ruolo significativo. Ma sappiamo anche a quali pressioni questo executive summary è stato sottoposto da parte di paesi che beneficiano delle rendite fossili. Se il CCS sarà o non sarà determinante lo si scoprirà presto. Ma le premesse non sono buone. A pag 15, figura 13, Shell presenta un grafico dei costi delle tecnologie per CO2 evitata. La fonte è un rapporto del 2013 di una associazione di settore che promuove la tecnologia. In questo rapporto del 2013 tale figura fa riferimento ad un ulteriore rapporto del 2011. Stime di costo su fotovoltaico e eolico così datate sono ormai da buttare perché queste tecnologie sono in fase di crescita esponenziale, e i costi stanno scendendo superando anche le previsioni più ottimistiche. Quindi è tutto da dimostrare che il CCS, ancora non provato alla scala necessaria, riesca ad essere una opzione economicamente valida.

Se soltanto  questo gli analisti Shell sono riusciti a rispondere, beh, non depone bene per il loro futuro. 


sabato 17 maggio 2014

Sui trucchi logaritmici degli sviluppisti fossili


Quante volte abbiamo dovuto sorbirci gli accorati appelli allo sviluppo energetico di petrolieri e compagnia. Senza la crescita dell'offerta d'energia si bloccherebbe il progresso, o peggio, si rischierebbe il ritorno alle piaghe di fame, freddo, etc. (l'accusa del "ritorno alle candele"). 
I più sofisticati esponenti della compagnia fossile  indicano una relazione lineare tra consumo d'energia e PIL. Grafici come quello seguente vengono portati come prova di questa ipotizzata legge ferrea. Dunque, chi ostacola per ragioni ambientali lo sviluppo delle fonti fossili (megacentrali a carbone, trivelle, etc) porterà, secondo questa linea di pensiero, ad una riduzione del PIL (quando la lobby fossile sfoggia cultura parla di  "tradeoff tra ambiente e sviluppo").

Fabbisogno energetico pro capite espresso in tep, tonnellate equivalenti di petrolio, e PIL pro capite, anno 2010. Grafico da Gapminder

Il diavolo, come sempre, sta nei dettagli. L'ipotesi di una relazione lineare tra consumo d'energia e progresso umano  è facilmente confutabile. Il grafico precedente, infatti, presenta ben due errori:
  1. Utilizza il PIL per abitante come indicatore di progresso socio-economico. Questo utilizzo del PIL è improprio, perché il PIL misura qualsiasi attività economica, anche quelle indesiderate  (come quelle che seguono dei cataclismi), o di estrazione non sostenibile di risorse naturali.
  2. Il grafico riporta i dati su scala logaritmica. La scala logaritmica permette di evidenziare trend, ma comprime differenze significative.
Utilizzando come indicatore di progresso lo Human Development Index delle Nazioni Unite, e plottando i dati su scale lineari, si ottiene una diversa rappresentazione, come da grafico seguente.


Fabbisogno energetico pro capite espresso in tep, tonnellate equivalenti di petrolio, e Human Development Index, anno 2010. Grafico da Gapminder

In questo secondo grafico si osserva che sì, l'aumento del consumo energetico produce un forte aumento della qualità della vita. Ma questo effetto positivo dell'offerta energetica raggiunge presto la saturazione. Scarsa disponibilità energetica   è associata a condizioni di vita penibili. Ma per accedere ai livelli alti della qualità della vita non è necessaria molta energia. Oltre la soglia dei 2 tep per abitante-anno l'indice HDI è pressoché stabile. Anzi, si potrebbe utilizzare questo grafico per affermare che oltre i 7 tep  si ha del regresso!
Queste relazioni hanno un chiaro riferimento tecnico. Quando le soli fonti di energia sono quelle pre-moderne (legna, lavoro muscolare) le possibilità di condizioni di vita elevate sono escluse alla gran parte della popolazione. Il lavoro estenuante in agricoltura e nella gestione domestica (raccolta legna, approvvigionamento acqua, etc) preclude l'accesso all'istruzione e si ha un circolo vizioso che intrappola verso il basso. La meccanizzazione, le reti idriche, etc, permettono un importante salto qualitativo. Ma una volta soddisfatti questi bisogni primari, maggiore disponibilità energetica non è necessariamente associata a migliori condizioni di vita. Anzi, si può avere un effetto negativo attraverso dinamiche tipo Dutch disease, o di corruzione indotta dalla prevalenza delle rendite. Nel grafico precedente si può osservare come paesi mediorientali produttori di idrocarburi (punti in verde oltre i 6 tep/ab), presentino bassi livelli dell'HDI rispetto all'alto consumo energetico pro capite. Questo per chi idealizza la "fortuna" di avere risorse petrolifere. In media, invece, è una sfortuna.

Queste considerazioni sono solo preliminari rispetto alla critica dello sviluppismo energetico. Infatti, i dati indicano che sicuramente esiste un effetto saturazione, e probabilmente anche un effetto negativo dell'abbondanza energetica. Ma questi dati raccontano soltanto dell'esistente, non del possibile. Esistono notevoli margini di miglioramento tecnico (efficienza), e di riduzione dei consumi grazie a stili di vita diversi (sobrietà). Su quest'ultimo fattore, gli stili di vita, è lecito lo scetticismo perché non è detto che si realizzeranno gli auspicati cambiamenti. Ma comunque sappiamo che i miglioramenti possibili in termini di efficienza sono grandi, e sono anche in grado di assorbire effetti rimbalzo. Per esempio, nei trasporti, che rappresentano un terzo dei consumi energetici, lo spreco energetico imputabile alla attuale tecnologia, i motori a combustione interna, rappresenta circa i due terzi del consumo (si veda questo post). Quindi, un potenziale di riduzione di circa il 20% del totale. Sommando i possibili risparmi negli altri settori si può mostrare come un'alta qualità della vita, non vincolata dalla scarsità energetica, sia ottenibile con 1,5 tep pro capite. Come riferimento, l'Italia è oggi a 2,8 tep. La priorità dovrebbe essere su come estrarre energia da questi giacimenti di risparmio, e su come rendere sostenibile il rimanente, emancipandoci dalla dipendenza dagli idrocarburi.  Di trivelle e megacentrali ne hanno bisogno solo i lobbisti fossili.
Speriamo presto di poter cambiare anche le unità di misura del dibattito energetico. Fino ad oggi, a causa del ruolo predominante del petrolio, l'unità di riferimento  è il tep. Nell'auspicata transizione guidata da solare-eolico, rinnovabili elettriche, l'unità di misura sarà il kWh (il valore 1,5 tep  corrisponde a circa 17500 kWh).  











venerdì 16 maggio 2014

Errare è umano, perseverare....

In una intervista a QualeEnergia, Nichi Vendola cerca di rispondere alle critiche ricevute in merito alle sue dichiarazioni offuscatrici contro l'eolico e il solare.
Rispetto alle osservazioni già scritte in questo post, possiamo adesso aggiungerne altre. 
Perché Vendola (o il genio che gli scrive queste risposte) continua a far confusione. 
Vendola asserisce che le preoccupazioni che lui esprime sul consumo di suolo di solare-eolico sono legittime e trovano riferimento nientepopodimeno che nella discussione europea su land-use/carbon sink.
Peccato però che land-use/carbon sink per l'eolico o il solare non c'azzeccano. Quello è un criterio che vale per le biomasse! Un'altra perla del Vendola-pensiero. 

Gli manca l'abc. 

martedì 6 maggio 2014

Lacrime Petrolifere


Nel video una interessante esposizione di  Steven Kopits, Managing Director della Douglas-Westwood, una società di analisi energetiche con focus principale sul mercato del petrolio.
L'aggettivo "interessante" è da intendersi relativamente a quello che può provenire da chi opera su questi mercati. L'analisi è completamente di taglio economicista, nessun accenno agli impatti ambientali del petrolio, al rischio climatico. Ad una domanda del pubblico sul petrolio da sabbie bituminosi (tar sand) del Canada, Kopits precisa che lì c'è un problema. Meno male, pensavo, adesso citerà la crescente opposizione alla devastazione della foresta boreale, il caso KXL, etc. No, il problema è che "il petrolio da tar sand costa molto". Questo per inquadrare il tipo di prospettiva. Comunque un contributo degno di nota, perché almeno ad esporre è un esponente del settore petrolifero che ha una sua intelligenza. Non è uno sciocco apologeta come ne abbiamo tanti in Italia.

Quindi, cosa dice di interessante Kopits? 
Kopits spiega, ripeto, da una prospettiva completamente economicista, le diverse delusioni che il petrolio ha dato nell'ultima decade.
Le sue analisi si basano su un modello previsionale basato sull'assunto che siamo in una fase in cui è l'offerta di petrolio che determina la domanda, ma con un importante vincolo di prezzo massimo lato domanda. Nella sua visione la difficoltà dell'offerta  di soddisfare la domanda ha indotto la depressione economica. Questa è una spiegazione un po' semplicistica, secondo il mio modesto parere, perché ignora altri fattori strutturali lato risorse (anche altre input primari hanno registrato un balzo dei prezzi), lato ambiente (cominciamo ad avere un feedback negativo dell'inquinamento, i costi indiretti), lato iniquità sociale (l'1% accaparra troppo), etc (caos euro). Ma pur nella sua semplificazione, stabilire un nesso petrolio-recessione è già un passo avanti notevole rispetto al mainstream.
Tutto qui? No c'è dell'altro. Siamo di fronte a delle dinamiche il cui disvelamento produrrà cambi di rotta significativi.
Il dato nuovo è l'ammissione che, sostanzialmente, siamo entrati in una fase post-petrolio-facile. Combustibili liquidi per autotrazione d'origine fossile siamo e saremo sempre in grado di produrne. Ma i dati ci descrivono quello che in pochi prevedevano. Portare in linea questa  offerta richiede   investimenti giganteschi (e fin qui lo si sapeva). Ma, esperienza del decennio passato, il mercato non assorbe offerta oltre la soglia dei 100 dollari al barile. Molte compagnie petrolifere hanno sovrainvestito sperando in aumenti del prezzo che non si sono verificati. Da qui la prima delusione (poveri petrolieri!). Nel frattempo l'economia è depressa, incapace di girare a pieno regime con il freno rappresentato dai 100$/bbl.
Le compagnie petrolifere si trovano adesso in una crisi di redditività. Una notizia di cui non ero a conoscenza: Shell ha dovuto accedere a prestiti per pagare i dividendi, non è un buon segno!
Quindi, in una prospettiva puramente economicistica abbiamo questa doppia delusione: 1) economia stagnante, 2) petrolieri in lacrime.

Fin qui l'analisi di Kopits, che, ripeto, non è male dato il paradigma di riferimento. Di seguito le mie considerazioni.
Allargando l'analisi, le delusioni del petrolio sono ormai innumerevoli.
Era prevedibile che il modello trasportistico dominante (basato sull'automobile con l'inefficiente motore a combustione interna, per di più con elevate distanze casa-lavoro per via del debordare dei centri urbani) non sarebbe riuscito a scalare nel caso di industrializzazione dell'Asia. I coriferi del "mercato-che-tutto-risolve" ci hanno fatto perdere decenni. Le difficoltà ad espandere l'offerta sono state gigantesche, in pratica non ci si è riusciti, ed in più abbiamo una questione clima che richiede  drastici cambi di rotta.
Nell'ultima decade l'establishment ha fatto finta di niente di fronte alla doppia crisi risorse-ambiente, confidando nella cornucopia della nuova offerta che avrebbe risolto tutto senza dover cambiare niente. Si è illusa l'opinione pubblica che nuove tecniche estrattive (tar sand, shale oil, trivelle in ogni dove, dall'Artico al Mediterraneo) avrebbero salvato il modello auto-suburbia-vacanze-tropicali-in-aereo. Nell'attesa occorreva stringere la cinghia con l'austerity, ma era una fase transitoria. Ma il transitorio non passa, anzi si aggrava. 
Abbiamo quindi le seguenti delusioni:
  1. L'economia è depressa perché non regge gli alti prezzi degli input primari.
  2. Le stesse compagnie petrolifere più impegnate nel portare in linea la nuova costosa offerta hanno pessima redditività;
  3. Il petrolio facile esiste ancora, ma è confinato in aree geopolitiche difficili (le petro-dittature sono le uniche che godono dei prezzi a 100$/bbl, ma questa rendita è ulteriormente distorsiva degli equilibri mondiali (Russia, Iran, Libia, etc));
  4. Dover trivellare in ogni dove fa crescere l'opposizione (e i costi). Quando il petrolio veniva prevalentemente da aree desertiche (lontano dagli occhi, lontano dal cuore) erano in pochi ad informarsi dei disastri di questa fonte. Adesso che le estrazioni sono a più alto impatto (tar sand, shale oil, deepwater), e più vicine ai luoghi del cuore (foresta boreale, mediterraneo, golfo del Messico, artico, etc) la coscienza della dissonanza di questo modello di sviluppo si estende.
  5. Le megalopoli asiatiche scoprono che il cielo devono limitarsi a vederlo sui megaschermi.
  6. Ultimo, ma sicuramente il fattore più importante: il cambiamento climatico che richiede una sostanziale uscita dall'era del petrolio;
Clima impazzito, città dall'aria irrespirabile, trivelle vicino casa, petro-dittature sempre più minacciose,  e per giunta disoccupazione e stagnazione. Tutto questo non bastava, adesso sappiamo che anche i petrolieri se la passano male!
Quale sarà la goccia che farà trabboccare il vaso?

Quale leadership avrà il coraggio di resettare il petrolio e i suoi fallimentari modelli di consumo?






lunedì 5 maggio 2014

Italy, no-coal activists sued for 4 million of euro

South-Italy, 2nd of May
SEI, a developer of a 1320 MW coal plant in South Italy, sued three environmental activists, Giuseppe Toscano, Paolo Catanoso, and Noemi Evoli (link in Italian).
SEI claims 4 milion of euro for reputation damage.

The coal plant is planned in Saline Joniche, close to the little town of Montebello Ionico, in the Grecanic area of Calabria.
This area is renowed for a unique fruit, the bergamot orange, which flavors the Earl Grey tea.
SEI states that is planning a "clean coal plant" which will respect pollution limits, included CO2.
However, the area is highly seismic, and it's therefore unlikely that  carbon capture and storage could be ever implemented at this site. 

Please, express solidariety to the activists at this FB page



domenica 4 maggio 2014

Boom and Bust all'italiana

Potenza fotovoltaica installata annualmente, anni 2008 - 2014


Cosa risulta evidente dal grafico della potenza fotovoltaica installata annualmente a livello mondiale?

Qual'è l'anomalia?
Si può osservare come la Germania abbia sostanzialmente sostenuto la domanda globale di fotovoltaico fino all'anno 2010. Negli anni successivi la Germania continua ad essere un mercato importante, per poi declinare. Un processo quindi di crescita e contrazione su un orizzonte di sei anni. Che il mercato tedesco dovesse contrarsi era nelle cose, il fotovoltaico è l'opzione più costosa nel mix delle rinnovabili a quelle latitudini. I tedeschi vanno ringraziati per aver sostenuto la domanda globale che ha permesso il declino dei costi della tecnologia. Costi ormai competitivi con le fonti fossili alle latitudini più basse (integrando le esternalità negative delle fonti fossili, esternalità che non paghiamo in bolletta, ma sui bilanci della sanità, etc).

Lo sviluppo del fotovoltaico in Italia ha avuto tutt'altro andamento. Il boom c'è stato nel 2011, quando si è verificato il crollo dei prezzi dei moduli, e gli incentivi erano lauti. Una combinazione che sì ha sbloccato il mercato, ma che ha inevitabilmente creato le condizioni per una troppo rapida contrazione negli anni successivi. Gli incentivi alti hanno permesso alla lobby fossile di gridare allo scandalo, all'insostenibile peso in bolletta, etc. La lobby fossile deve soltanto ringraziare il cielo (o meglio il Ministero assente) per questa cattiva gestione del ciclo del fotovoltaico in Italia. Una gestione più oculata del budget avrebbe permesso di installare più fotovoltaico su più anni, consolidando il settore. E l'Italia non è la Germania in termini di radiazione solare. In Germania è l'eolico che costituisce il pezzo forte della partita. In Italia è il fotovoltaico che ha questa importanza.  Adesso viviamo una fase di restaurazione energetica, l'ancien régime capitalizza sugli errori, con l'argomento infondato degli alti costi hanno bloccato il mercato. Ma con paesi come Cina e India che stanno incrementando le installazioni con quei tassi altissimi riportati in figura (lato destro), per quanto tempo ancora potrà passare la bugia dei costi eccessivi?
Gli italiani non sono un popolo brillantissimo, ma qui si tratta di saper fare 2+2.




Venti anni dopo

Questa pagina web contiene analisi risalenti a due decadi fa sul potenziale e sulla riduzione di costo del fotovoltaico.
Chi è appassionato di storia delle tecnologie se la vada a leggere, e ne tragga le proprie conclusioni.


Il grafico precedente illustra l'essenziale. 

Nel 1994 si prevedeva per i moduli in silicio cristallino un prezzo di 1 US$ per Wp quando la capacità installata fosse diventata pari a 100 GWp.
Questa soglia è stata raggiunta nel 2012 (grafico seguente).

Capacità cumulata 2000 - 2012, in MWp. Fonte EPIA
  

Nel 2012 il prezzo medio dei moduli è stato di circa 0,8 $/Wp.
Se riportiamo questo valore monetario del 2012 a valori del 1994 (1$ del 2012 è pari a 0,7$ del 1994), allora otteniamo un valore di 0,8 X 0,7 = 0,56. Quindi, quasi la metà di quello previsto dalla curva di apprendimento del 1994 (primo grafico)!!!!


Ricordo vividamente come, all'epoca ragazzo, studiassi analisi di questo tipo e, con la coscienza dei disastri delle fonti fossili, speravo fortemente che si realizzassero le dinamiche prospettate. Mi sembravano ragionevoli, fondate, era una strada che meritava di essere percorsa. Ma venti anni fa queste analisi erano bollate come irrealistiche dai soloni che dominavano il dibattito sull'energia, incapaci di vedere oltre il ristretto e triste recinto dell'esistente. 
La morale è che i "vecchi di spirito" vanno compatiti, non ascoltati, e che il futuro può essere ancora più brillante di come lo si sperava!

sabato 3 maggio 2014

Dell'insostenibile pesantezza e inefficienza del petrolio, e delle vie (ferrate) d'uscita


Questo schema, tratto dal Capitolo 8 dell'AR5-WG3-IPCC, riporta i flussi energetici nel trasporto merci e passeggeri a scala mondiale. Da destra abbiamo i vettori energetici, largamente dominati dai derivati del petrolio (gasolio, benzina, cherosene), che alimentano le diverse modalità trasportistiche, che servono il trasporto merci e la mobilità  delle persone, e che, infine, erogano l'energia utile.
Nella parte sinistra, quella degli usi finali, si nota una impressionante perdita di energia, pari a circa i due terzi del totale in entrata (se si risalisse alla fonte primaria, fino al pozzo di estrazione, le perdite sarebbero ancora maggiori). Queste perdite sono in gran parte inevitabili data la tecnologia dominante dei motori a combustione interna. Le perdite sono proporzionalmente maggiori nel trasporto passeggeri (motori più piccoli e quindi meno efficienti, minore rapporto carico utile su massa veicolo, prevalenza del più congestionato ciclo urbano, etc) che in quello delle merci.
Ed è quindi sul trasporto passeggeri che si concentrano i maggiori vantaggi e le migliori opportunità della sostituzione dei vettori derivati dal petrolio con l'elettricità. 
In particolare,  nel trasporto urbano i combustibili sono impiegati per superare distanze brevi, e quindi sono più esposti alla discesa distruttiva del costo dell'accumulo elettrico. In questo segmento i vantaggi  dei combustibili  liquidi (densità energetica, velocità di rifornimento) sono meno rilevanti (le distanze percorse sono piccole e con elevati tempi di sosta sulle 24 ore che permettono la ricarica (circa 23 ore al giorno)). La bassa efficienza dei motori a combustione rispetto a quelli elettrici, e l'elevato impatto sanitario della combustione in area urbana rappresentano il tallone d'Achille del petrolio. Se continua la discesa del costo delle batterie questo segmento è destinato a profondi cambiamenti. A livello mondiale il trasporto urbano è già adesso il segmento rilevante, 40% del totale trasporti, quindi stiamo parlando di quote di mercato significative che il petrolio può perdere.  

In Italia la crisi del modello auto-petrolio dovrebbe costituire un'opportunità per ristrutturare profondamente la mobilità delle città, dando priorità, prima ancora che all'auto elettrica o ibrida, al trasporto pubblico veloce e elettrificato (moderne tranvie, filobus su corsie dedicate, etc), che a sua volta innescherebbe la ciclabilità. La bici è "sommersa" in Italia per l'elevatissimo tasso di motorizzazione privata che non le lascia spazio (circa 6 automobili ogni 10 abitanti, media europea 5/10). Ma per convincere gli italiani a rottamare definitivamente una quota significativa del parco auto occorrerebbe fornire un trasporto pubblico competitivo. L'autobus urbano con motore diesel su corsia mista (la modalità prevalente) è inadeguato per l'obiettivo perché strutturalmente inefficace e inefficiente. Le velocità basse nell'ora di punta (quella rilevante per gli spostamenti caratterizzanti casa-lavoro/studio) non attraggono abbastanza passeggeri. Le basse velocità incidono negativamente anche sui costi del servizio (più mezzi-autisti per una data capacità offerta a causa dell'elevato tempo ciclo). Si innesca quindi una spirale negativa di alti costi per passeggero-km (inefficienza) e inefficacia (pochi passeggeri). La spirale negativa dell'autobus su corsia mista è ulteriormente amplificata dal basso comfort della propulsione con motore a combustione interna (vibrazioni, rumore, fumi di scarico) e dal non poter reclamare per il trasporto pubblico i pieni vantaggi sulla qualità dell'aria che l'elettrificazione invece consentirebbe. La scarsa puntualità dell'autobus impedisce che si sviluppino percorsi a rete (che richiedono cambi, e che quindi richiedono puntualità), ulteriormente peggiorando l'attrattività del trasporto pubblico, che consiste spesso in un insieme scoordinato di linee, senza effetto rete. I vecchi autobus diesel annegati nel traffico sono i migliori facilitatori della prevalenza delle automobili, che quindi sovrastano pedoni e ciclisti, rinforzando il ciclo di auto-dipendenza.
Questa struttura di auto-dipendenza è un notevole peso per i bilanci delle famiglie (per i costi diretti) e per quelli pubblici (costi indiretti, esternalità). L'elevato tasso di motorizzazione privata rende più difficile in Italia il rinnovo del parco auto con le migliori tecnologie che hanno un costo iniziale maggiore. Queste spirali sistemiche devono essere interrotte e la carta decisiva è il trasporto pubblico veloce ed elettrificato.

Dovrebbe essere ormai chiaro nella coscienza pubblica che le misure per la riduzione dei combustibili derivati del petrolio nelle città si accompagnano ad un impressionante numero di co-benefici locali. E' importante sottolineare i co-benefici locali perché i processi di regolazione globale delle fonti fossili sono soggetti a boicottaggio da parte delle potenti lobby, come i lettori di questo blog ben sanno. A livello locale, anche se a macchia di leopardo, è possibile definire coalizioni per il cambiamento che siano autonome dal condizionamento di queste lobby.



"Follow the Money". O del perché è così osteggiata la transizione energetica (e del perché tutto può ancora cambiare)

Un recente rapporto degli analisti finanziari di Kepler Cheuvreux, autore principale Mark Lewis, quantifica la posta in gioco della transizione energetica.

Il rapporto utilizza tre scenari IEA al 2035:
  1. Scenario CPS, tendenziale a politiche invariate, business as usual.
  2. Scenario NPS, che nonostante preveda azioni correttive rispetto al tendenziale, non porta alla riduzione del rischio climatico, cioé viene superata la  soglia dei 450 ppm di CO2 in atmosfera.
  3. Scenario 450, che, invece, soddisfa il limite dei 450ppm di CO2, ma richiede forzi azioni correttive.


Tra questi tre scenari cambia notevolmente il consumo di combustibili fossili, come da figura seguente.

Il rapporto approfondisce l'analisi delle differenze tra gli scenari NPS e 450 in termini di ricadute sui settori fossili (carbone, gas, e petrolio).
La minore domanda dello scenario 450 porta anche ad una riduzione dei prezzi di queste fonti energetiche. Questo perché le curve dei costi d'estrazione sono crescenti all'aumentare dei volumi richiesti (costi marginali crescenti, si veda figura seguente con stime IEA). 

Nello scenario 450, la diminuzione della domanda porta all'eliminazione delle produzioni a costo maggiore. Queste produzioni sono anche quelle a maggiore contenuto di carbonio (e.g. petrolio da scisti bituminosi), e quindi doppiamente messe in crisi nello scenario 450.
Il rapporto quantifica le perdite di ricavi per i settori fossili nel caso dello scenario 450 rispetto a quello NPS.
Le stime delle perdite cumulate al 2035 sono, in valuta costante 2012:
  1. -19294 miliardi di US$ per il settore petrolio;
  2. - 4046 miliardi di US$ per il settore carbone;
  3. - 4921 miliardi di US$ per il settore gas.
Un totale di -28261 miliardi di $ nelle prossime due decadi. Queste cifre sono utilissime per capire le resistenze che si frappongono alla transizione energetica. Ventottomila miliardi di dollari e rotti spiegano molte cose.
E' vero che si tratta di ricavi, non di profitti, ma i ricavi spiegano anche pressioni politiche lato lavoro.

L'analisi può essere ulteriormente estesa. Il rapporto evidenzia come i settori perdenti dello scenario 450 siano principalmente quelli legati alle risorse a maggiore costo d'estrazione e contenuto di carbonio. Queste componenti della lobby fossile verrebbero messe fuori mercato.
Ma non è da sottovalutare l'effetto di riduzione dei prezzi, quindi delle rendite, per quelle componenti che hanno costi d'estrazione minori (essendo la curva di costo dell'offerta crescente, le componenti   con costi bassi accaparanno rendite rilevanti, oltre ai profitti). Per queste componenti (gli interessi russi, iraniani, etc) l'impatto della riduzione della domanda sarebbe ugualmente devastante.
Il quadro è quindi intricato. La lobby fossile può contemporaneamente far pesare il suo ruolo economico globale, e allo stesso tempo può essere sotto attacco per le rendite che alimentano le dittature. Questo effetto è intrinsico alle caratteristiche delle curve di costo, non è  aggirabile. Tutto ciò aumenta l'interesse per la transizione energetica. "Piegando" gli interessi petroliferi potremmo salvare il clima, e abbattere le petro-dittature. Vale la pena provarci.

Il rapporto cita la forte caduta dei costi delle fonti rinnovabili come un fattore dirompente che può "piegare" la domanda fossile.
Ma aggiungerei che sulla scacchiera petrolifera, quella determinante, il pezzo più forte, che ancora non ha dispiegato il suo potenziale, è l'elettrificazione del trasporto: cura del ferro per le città (treni locali, metro, metro leggera), ecobus veloce (filobus su corsie dedicate), ciclabilità (bici elettrica per espandere l'uso della bici), e anche auto elettriche o ibride ricaricabili (che per i loro costi d'acquisto maggiori/costi d'esercizio minori si prestano a facilitare il car sharing).
Tutte queste soluzioni possono, assieme ai sinergici solare-eolico, cambiare per il meglio il mondo, oltre che pulire l'aria delle città. Questi sono gli ostacoli, queste sono le opportunità.