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domenica 4 dicembre 2016

Sette generazioni dopo, il generale Custer trucida ancora


Nel mese di novembre in Nord Dakota le acque del fiume Missouri sono gelide. A turno, gruppi di ragazzi, di etnia amerindiana, ma non solo, si immergono in quelle acque e provano a raggiungere l’altra riva. Il freddo delle acque è l’ultima loro preoccupazione. Dall’altro lato del fiume è schierata la guardia nazionale che li attende con gas lacrimogeni, proiettili di gomma, cani da attacco, e varie altre amenità della cosiddetta “sicurezza”. 

Nel rispetto dell’ideale della nonviolenza, i ragazzi si fanno manganellare tenendosi per mano, cantando, pregando, e proclamando il motivo per cui spingono il loro corpo verso l’altra riva di quel fiume.
Vogliono terra, acqua, e aria libere dall'oleodotto "DAPL" che dovrebbe passare sotto il Missouri.
- Si preoccupano della terra perché l’oleodotto, il "nero serpente" come lo hanno rinominato, dovrebbe attraversare i luoghi sacri dove sono sepolti i loro antenati.
- Si preoccupano dell’acqua perché il fiume Missouri è la riserva di acqua pulita per loro, i Sioux del fiume, così come per altre decine di milioni di americani verso valle, fino al delta del Mississippi.
- Si preoccupano dell’aria perché questo oleodotto trasporterà uno dei combustibili liquidi a maggior contenuto di carbonio mai utilizzato dall’umanità (shale oil del bacino Bakken), mettendo così la pietra tombale sulle speranze di contenere il cambiamento climatico.

“Standing Rock” (La Roccia In Piedi), così si chiama il luogo dove sta avvenendo questa piccola lotta contro l’impero fossile.
Da un lato i discendenti di quei popoli nativi trucidati per più generazioni (sette generazioni, dai tempi del generale Custer), ma ancora in piedi, verticali.
Dall’altro lato, noi, se non tutti almeno tutti in parte, i visi pallidi che profittano della distruzione ambientale, dell’estrazione dei combustibili fossili.
Eppure, il confine tra il “noi” e il “loro” è labile. Almeno per quanto riguarda l’atmosfera perché siamo tutti coinvolti nel rischio di un pianeta che potrebbe diventare inabitabile a causa del cambiamento climatico.
Ma sono quasi esclusivamente “loro”, i soggetti più deboli del pianeta, a spostare il loro corpo verso l’altra riva, quella della “nostra” polizia in assetto antisommossa. Pochi gli aiuti, ma comunque importanti. I giornalisti e i medici sono utilissimi, e, non a caso, sono tra i primi ad essere messi nel mirino. Non è una metafora, sparano per davvero. Proiettili di gomma, ma che hanno un impatto tale da poter essere letali. Solo perché il 4 novembre uno di questi proiettili ha centrato alla schiena una giornalista bianca, Erin Schrode, la notizia ha avuto un po' di diffusione (al minuto 8:40 del video in cima a questa pagina). Gli amerindiani dicono che per loro questa è routine.
Ah, dimenticavo di aggiungere la buona notizia, ci vuole sempre un finale positivo, deve essere così, siamo stati abituati così. 
Il nuovo presidente eletto degli Stati Uniti, Donald J. Trump, ha una partecipazione finanziaria in questo oleodotto. Non solo, ha più volte dichiarato che vuole rilanciare gli investimenti in infrastrutture, ma solo quelle sporche, fossili e inquinanti.
In questo contesto, la probabilità che sia ascoltata la voce di questi protettori della terra, dell’acqua e del cielo è zero.
Che vengano schiacciati ancora è una certezza, come ai tempi del generale Custer.
Con la differenza che oggi abbiamo tutti la possibilità di vederlo online e in diretta. Sintonizzate i vostri feed su #standingrock, dove l'impero colpisce e no, non arrivano i nostri.
Questa ragazza Sioux molto probabilmente perderà la vista ad un occhio dopo esser stata colpita da un proiettile di gomma.

Come molti nativi amerindiani, la ragazza non ha una assicurazione sanitaria, e quindi le cure le sono state rifiutate in ospedale.

Così funziona nell'America modello di democrazia.
Chi manifesta pacificamente viene malmenato, e le spese sanitarie sono a carico suo.
Dato che questa lotta dei Sioux riguarda tutti noi, perché quel petrolio è super-inquinante, sarebbe il caso di donare anche solo qualche dollaro per le spese mediche di questa ragazza.
Il link è questo qui.

#NODAPL
#StandingRock

martedì 26 aprile 2016

Ufficializzato la status dei finti combustibili "bio"



Era ora!
Finalmente rilasciato il rapporto UE sui biocarburanti (link).
Il biodiesel da colture alimentari è un disastro, anche climatico.
Il bioetanolo in media è meglio, ma anche qui il gioco non vale la candela.
Sarà necessaria una svolta ad U su questa che si credeva essere una leva per de-carbonizzare il settore dei trasporti.
Vari "gufi" da tempo l'avevano detto, ma inascoltati.
Questo rapporto (link) del WRI già un anno fa l'aveva impallinato. 
Adesso finalmente arriva il rapporto Globiom che l'UE aveva rallentato per non scoprire il segreto di pulcinella della sua strategia fallimentare di ambientalizzazione dei trasporti. 
A molti conveniva fare gli struzzi sul biodiesel.
Conveniva all'industria automobilistica europea che aveva puntato sulla motorizzazione diesel come strategia di arrocco rispetto alla competizione asiatica. 
Conveniva alle lobby agricole perché i biocarburanti davano una valvola di sicurezza sulle eccedenze e mantenevano i prezzi alti. Conveniva ai tanti europarlamentari che potevano farsi belli su strategie non problematiche per lo status quo. 
Conveniva a molti ma non al clima,  alla qualità dell'aria nelle città, all'innovazione dell'industria europea, alle popolazioni povere colpite dall'aumento dei prezzi delle derrate agricole, in parte causato da queste strategie.

lunedì 18 aprile 2016

Se 13 milioni vi sembran pochi

Oggi, a scrutinio effettuato, contiamo circa 13 milioni di "Si", più un 2 milioni di "No" e schede bianche e nulle, che comunque indicano elettori refrattari agli ukase renziani.
Il mancato raggiungimento del quorum non è una sconfitta per cui stracciarsi le vesti.
Anche solo pochi anni fa sarebbe stato impossibile pensare di sfidare le fonti fossili, dalle quali dipendiamo così fortemente, e rispetto alle quali gli italiani sono così assuefatti e contenti (feticismo dell'automobile, sottovalutazione dei danni dell'inquinamento, etc).
Ben 13 milioni di voti sono incoraggianti.
Essere sconfitti avanzando va ancora bene.
Ma anche dalle sconfitte minori si possono trarre degli utili insegnamenti.

Il variegato mondo ambientalista ha anche ritardi culturali, in quanto è affetto da tecno-fobia, o meglio, mancanza di realismo tecnico.
Lo si vede quando emergono posizioni aprioristiche contro i parchi eolici, gli impianti fotovoltaici a terra, gli elettrodotti, le tranvie, etc.
È su questo ventre molle che ha inciso più duramente la falsa propaganda astensionista che ha goduto di tali assist.
Non è la prima volta che lo sostengo, l'avevo detto anche prima del referendum, non mi piacciono i falsi unanimismi.
I "nostri" velleitari sono i migliori alleati dello status quo. Dettagli a questo precedente post (link).

sabato 16 aprile 2016

Ricatto occupazionale, zero strategia industriale, ovvero del continuo avvitamento verso il basso del PD (effetto mentale delle trivelle?)


La continua involuzione del PD è ben rappresentata da questo video contro il referendum che gioca sul ricatto occupazionale.
Tralasciamo gli aspetti ambientali locali. Se le cozze vicino alle piattaforme siano commestibili o meno è un dettaglio.
Tralasciamo anche la questione, non secondaria, della differenza tra impatto ambientale in esercizio normale, e incidente rilevante. 
Guardiamo soltanto alla dimensione occupazionale. 

Innanzitutto, con questi lavoratori un vero partito di sinistra dovrebbe condividere la consapevolezza che nei prossimi trent'anni l'umanità ha davanti a sé una sfida gigantesca: abbandonare le fonti energetiche fossili. Dato che serviranno trent'anni per questa transizione è vero che da domani mattina non possiamo fare a meno di queste fonti energetiche.
Ma dovendo consumarne sempre meno, i giacimenti marginali come quelli italiani sono fuori mercato. 
Insistere sul trivellare in Italia è "accanimento terapeutico" come, non il sottoscritto, ma uno dei maggiori esperti mondiali di idrocarburi, Leonardo Maugeri, ex-ENI, ha più volte dichiarato.
Per questa ossessione trivellatrice in Italia non c'è un positivo rapporto tra benefici e costi (costo opportunità per altri usi del territorio, e marginalità dei giacimenti).
Non a caso abbiamo royalty bassissime, e meccanismi come le franchigie che permettono di aggirare le pur basse royalty.
La norma che il referendum vuole abrogare è un sussidio nascosto perché allunga sine die le concessioni, di fatto regalando ai concessionari un bene pubblico.
È soltanto grazie a questi trucchi che le marginali risorse italiane "reggono".
Sarebbe invece nell'interesse di questi lavoratori preoccuparsi della vacuità di tali strategie basate su arzigogolazioni normative, che potrebbero anche esser spazzate via da legittime azioni europee (link).
Che senso occupazionale ha difendere ciò che è già in crisi perché non ha futuro?
Perché il PD non si preoccupa di definire strategie industriali per la riconversione energetica?
La cantieristica attualmente utilizzata per le piattaforme estrattive può essere riconvertita per le installazioni di turbine eoliche in mare (vedi esempi in Scozia, link). 
 Senza questo,...
...e questo...
...non si ottiene questo.
Fonte: https://www.flickr.com/photos/vattenfall/3581237503/sizes/l/in/photostream/

Sull'eolico in mare persino la Francia investe (link). E la Francia non ha un'immediata urgenza perché il suo nucleare già gli garantisce un settore elettrico a basse emissioni di CO2 (ma deve preoccuparsi della vetustà di quel parco centrali, e delle dismissioni che difficilmente potranno ancora essere sulla filiera nucleare, quindi, anche la Francia ha una seria politica sulle rinnovabili). 

L'Italia sull'eolico in mare dovrebbe fare molto di più, e invece fa persino meno della Francia! 

Inoltre, l'Italia ha un grande ritardo infrastrutturale sulle reti urbane ed extra-urbane su ferro. L'Italia aveva un'eccellenza industriale su questo settore con Ansaldo-Breda. Eppure, questa azienda è stata venduta ai giapponesi dell'Hitachi. Venduta, oppure svenduta, come le prime indagini di un'inchiesta della magistratura fanno pensare (link)? 
Vogliamo parlare poi del grande sbaglio dell'industria automobilistica italiana sulla trazione elettrica (Marchionne per anni non ha fatto che denigrare tale opzione (link) e adesso questa è l'unica componente di quel mercato in forte crescita).
Ma chi è stato al ministero "competente" in questi anni?
Ah, sì, la figlia di papà Guidi (confindustria) fidanzata del faccendiere dei petrolieri. Ministro dello sviluppo economico della famiglia sua.
Ma in tutto questo, i lavoratori che c'entrano?
A mio modesto avviso, sono solo ostaggio di una politica inadeguata (per usare un eufemismo), che non tutela affatto i loro interessi.
Che partito triste il PD.

lunedì 11 aprile 2016

Norvegia, bel mar di nero amore



Sulla fallacia del "facciamo come in Norvegia, trivelliamo il mare, se ne avvantaggerebbe il welfare, etc".

A) Il Mare del Nord non è il Mediterraneo 1. 
Il nostro mare è sostanzialmente chiuso e con un già elevato inquinamento. Ammesso che la probabilità di un incidente sia simile tra una piattaforma norvegese e una italiana, gli impatti ambientali sarebbero ben diversi. Come questi studi mostrano (link), i danni qui sarebbero "incalcolabili". Ci sarà pure qualche motivo per cui Croazia e Francia hanno deciso una moratoria alle trivellazioni nel Mediterraneo? I petrolieri insistono che possono operare in sicurezza? Benissimo, prendiamoli in parola, che andassero a stipulare polizze assicurative onnicomprensive per tutti i rischi di incidente. I Lloyds londinesi assicurano di tutto. Provassero anche con questo. Se il rischio non esiste una tale polizza sarebbe a basso costo. Lo facessero perché di profitti privati ed esternalità scaricate sul pubblico ne causano già tante, Quando è troppo è troppo.




















sabato 9 aprile 2016

Le Scoppiettanti e Plastiche Bufale di Lorsignor Petrolieri

Questa "infografica" della lobby petrolifera, per tentare di denigrare Greenpeace, racchiude molte delle bufale a cui lorsignori ricorrono.
Tralascio la linea argomentativa dei vasti potenziali di risparmio energetico (in questo altro post confuto la stretta dipendenza tra aumento dell'offerta energetica e qualità della vita (link)).
Mi limiterò qui alla confutazione dell'insostituibilità del petrolio come fonte di energia e come input di processi industriali. È questa presunta insostituibilità che è il falso alibi di cui si coprono i petrolieri per giustificare le loro "corsie riservate", l'urgenza, per esempio in provvedimenti come il cosiddetto "Sblocca Italia".


Fibre derivate dal petrolio!!!1!!1!!!
Notate come si rimarca che l'attivista abbia indumenti ottenuti con fibre derivate dal petrolio. Ebbene, non è questione dirimente e spiego perché. 
  •  Le fibre tessili sono derivabili anche da fonti non-fossili e rinnovabili. C'è un intero settore detto "chimica verde" che si sta sviluppando (link). L'Italia ne è all'avanguardia, non buttiamoci la zappa sui piedi sostenendo la filiera fossile. 
  • Greenpeace ha anche una campagna sull'argomento. Cercate "greenpeace detox" su aspetti correlati (link). 
  • Ma soprattutto, a parte gli aspetti di tossicità delle filiere, la questione rispetto al problema principale del cambiamento climatico è irrilevante. I quantitativi di petrolio estratti per questi usi tessili sono bazzecole rispetto a quelli per gli usi energetici (si veda il grafico seguente). Non è detto che questa linea "fossile" non continui ad esistere anche in uno scenario eco-sostenibile. La priorità è evitare l'immissione netta di anidride carbonica in atmosfera. La priorità è quindi evitare la combustione delle fonti fossili. C'è anche chi si è esercitato in scenari, per diminuire l'opposizione della lobby fossile, dove qualche attività estrattiva rimane per queste e nuove filiere (fibra di carbonio). Ma comunque, non certo da trivelle nel mare verrebbe questo petrolio, ma da siti più economici. Nella misura in cui questi flussi sono fortemente ridotti, e si evitano le combustioni, i problemi ambientali sono fortemente ridimensionati.

Bilancio mondiale degli usi energetici al 2013. Gli usi tessili del petrolio sono circa un millesimo delle estrazioni. Fonte IEA (link)

In sintesi, questi usi tessili del petrolio non sono una priorità rispetto all'emergenza del cambiamento climatico, ed esistono alternative. 
Il quadro è un po' più complesso per altri usi non energetici del petrolio (asfalto, lubrificanti, etc), ma ognuno di questi usi può avere le sue politiche specifiche di diminuzione degli impatti. Chi è curioso può verificare lo stato dell'arte degli usi non energetici in ambito industriale nel capitolo 10 dell'AR5-WG3-IPCC (link). 

"Motore a scoppio", che orrore signora mia!!!! 
Buona parte degli usi energetici del petrolio avviene nel trasporto (si veda l'illustrazione precedente). E questi usi avvengono in gran parte in luoghi (le città) e su percorrenze tali da rendere l'elettrificazione non solo possibile, ma anche auspicabile per i co-benefici sanitari. 
Il vantaggio del motore elettrico deriva da un guadagno di un fattore 3 in efficienza rispetto ad analogo motore a combustione interna, e dall'assenza di emissioni inquinanti nella fase di esercizio.

Nello status quo, questi sono i flussi energetici nel settore del trasporto a scala mondiale (figura seguente, si veda anche questo precedente post  (link)).
Tratto dal Capitolo 8 dell'AR5-WG3-IPCC (link)


Per buona parte il petrolio nei trasporti è sostituibile con tecnologie esistenti, o con tecnologie che stanno persino eccedendo i target sulle loro traiettorie tecnologiche (si veda illustrazione seguente).
Fonte M. Liebreich, Bloomberg, 2016 (link)
Ma rimane vero che ci sono usi come quelli marittimi che non possono essere elettrificati  (con pochissime eccezioni) per ragioni di bassa densità energetica degli accumuli. Questo vale anche per il settore del trasporto aereo. 
Che si fa per questi usi se dobbiamo andare verso zero emissioni nette di gas serra in atmosfera? 
La tecnologia anche qui è conosciuta. Non è vero che il petrolio sia insostituibile neanche in questi usi. Sappiamo come produrre combustibili liquidi e gassosi da bio-residui. Ma oggettivamente questo potenziale è limitato, perché queste filiere possono avere danni collaterali. Qualcosa si può fare, ma con judicio. 
Ma soprattutto abbiamo altre tecnologie per produrre combustibili liquidi e gassosi. Si chiamano "power-to-liquid", e "power-to-gas". Avendo come input primario dell'elettricità (che ovviamente deve essere da fonte rinnovabile, altrimenti non ha senso) si possono ottenere i combustibili che più si desiderano per qualsivoglia applicazione: idrogeno, metano, metanolo, diesel. Sì, anche diesel per i grandi motori navali, o kerosene per gli aerei, etc. Affinché tali processi abbiano anche senso economico, oltre a quello ambientale, abbiamo bisogno di un input elettrico a bassissimo costo. Ed inoltre, tale input deve essere disponibile per almeno 6000 ore/anno, altrimenti abbiamo diseconomie lato costo di impianto di trasformazione. Ma non è questo un vincolo perché su questo pianeta abbiamo un'abbondanza di aree geografiche dove è possibile con una combinazione di solare ed eolico ottenere più di 6000 ore annue di disponibilità: la Patagonia e la fascia centrale degli USA, l'Atlante marocchino e la penisola somala, etc (si veda la figura seguente).
Le zone in rosso sono quelle con un numero di ore annuo di disponibilità eolico-solare tale da giustificare impianti di produzione di RE-diesel (diesel da fonte rinnovabile). Fonte Fasihi et al, 2016 (link)
Come premettevo, deve realizzarsi anche la condizione di un input elettrico rinnovabile a basso costo. Ma la novità è che a questo punto di svolta ci siamo già arrivati, e con molti anni di anticipo rispetto alle previsioni più ottimistiche che si facevano anche solo un decennio fa!!!!
 Nella disinformazione spinta dalla lobby fossile si lascia intendere che invece le rinnovabili abbiano costi altissimi. Falso, i costi alti erano veri soltanto nella fase iniziale di sviluppo di tali fonti (com'è normale che sia). Questa fase è ormai alle nostre spalle. Da qui il terrore, il panico dei fossilisti, che non sanno più cosa inventarsi per ritardare l'avanzata delle rinnovabili.
Per mettere in prospettiva questo stato dell'arte occorre indicare alcune cifre chiave.
L'articolo di Fasihi e coautori fa riferimento ad un scenario prossimo (2030) dove l'input elettrico richiesto per tali impianti power-to-liquid sia inferiore a 3 centesimi di euro per kWh (si veda l'illustrazione in basso a sinistra nella figura seguente (dove il costo dell'elettricità è riportato in euro per MWh, basta dividere per mille per avere il più immediatamente comprensibile valore in centesimi per kWh).

Queste stime al 2030 sono forse anche prudenti perché già oggi abbiamo progetti aggiudicati per vendere (e se vendono vuol dire che chi li realizza ci guadagna) a prezzi (quindi, non costi) intorno ai 3 centesimi al kWh (figura seguente, notare come queste cifre siano espresse in dollari US, quindi, al cambio attuale siamo per l'eolico già sotto la soglia dei 3 centesimi di euro per kWh).


Vi sarete sorpresi di vedere dalla figura precedente come i due progetti che a livello mondiale ad inizio 2016 hanno il prezzo di vendita minore dell'elettricità siano prodotti da una certa ENEL....all'estero. Certo, qui parliamo di grandi taglie in località dalla grande disponibilità di sole e vento. Questi valori non sono riproducibili in Italia, almeno per ora. Ma rispetto all'obiettivo della realizzazione di impianti power-to-liquid non è rilevante, comunque andrebbero realizzati in altre aree geografiche, e per aggredire le fonti fossili italiane nel settore elettrico è sufficiente rimanere entro i 6 centesimi. E ci saremmo già se solo non si fosse bloccato il settore, ci sono troppi impianti a fonti fossili che verrebbero spazzati via. Quindi, continuiamo ad inquinarci, e a trivellare, e a importare gas. Agli italiani non facciamo sapere queste cifre, devono essere convinti che l'equilibrio della bilancia dei pagamenti si difende con le trivelle!

Ma, nonostante i freni imposti in Italia,  il progresso prosegue, e con una curva straordinaria. Nella figura seguente i record realizzati dal fotovoltaico in termini di riduzione di costo.



Questi andamenti vengono meglio capiti se riportati in scala logaritmica, con le cosiddette "curve di apprendimento" (figura seguente per eolico, a sinistra, e fotovoltaico, a destra).


Il fotovoltaico è riuscito ad ottenere un tasso di miglioramento del 24%, un risultato che pochi speravano.
Per dare la prospettiva storica in questo precedente post riportavo i confronti tra quello che si è realizzato rispetto a quello che gli ottimisti prevedevano un ventennio fa (link).
Per farla breve, in base alle previsioni basate sulla curva di apprendimento della figura seguente, si stimavano obiettivi per il fotovoltaico che sono stati raggiunti due volte prima. E un fattore due di miglioramento su questo tipo di analisi è sorprendente!

Le basi "fisiche" di queste realtà tecniche le ha bien spiegate il fisico inglese Keith Barnham nel suo libro divulgativo "The Burning Answer: A User's Guide to the Solar Revolution" (link) (lettura caldamente consigliata, almeno per la parte fisica, sulla parte economica ho qualche riserva).

In chiusura devo rimarcare  che i costi dei processi power-to-liquid (così come quelli power-to-gas) sono competitivi rispetto ai combustibili fossili, se, però, si ha l'onestà di considerare i due tipi di combustibili a parità di condizioni. I combustibili derivati da input elettro-rinnovabile (con il carbonio estratto dall'atmosfera, o dall'acqua del mare, e l'idrogeno dall'acqua) chiudono il loro ciclo del carbonio. I combustibili da fonti fossili invece no. È sufficiente considerare tale differenza per far pendere la bilancia dal lato di queste alternative (si veda l'articolo di Fasihi et al, 2016 (link)).

Quindi, non esiste nessuna "strategicità" delle fonti fossili.
Non sono insostituibili.
Sono invece inquinanti, non solo per l'ambiente, ma anche per la democrazia.
Perché hanno bisogno di veri e propri apparati di disinformazione al loro servizio.
Questi apparati nuocciono anche a te.
Falli smettere, il 17 Aprile vota e fai votare SI.

lunedì 4 aprile 2016

Referendum 17 Aprile: "SI", con un solo "MA"



Voterò SI al referendum del 17 Aprile contro le trivelle.
Ho però un "MA" da esprimere, perché penso che la causa ecologista in Italia sia pregiudicata da tanti infondati luoghi comuni.
Se l'ecologia in Italia vuole fare un salto di qualità deve prima di tutto fare chiarezza al suo interno su alcuni punti dirimenti.
Il luogo comune promette prosperità, ma da ottenersi in modo "magico", attraverso alternative alle fonti fossili che si esprimono sempre tratteggiando scenari bucolici, micro, etc. Questo sfondo culturale va indagato e rigettato. L'errore di fondo di queste posizioni consiste nel sopravvalutare le potenzialità del risparmio energetico, e delle mini-rinnovabili. 
Stili di vita frugali e nuove tecnologie per l'efficienza energetica sono leve importantissime per vincere la sfida della de-carbonizzazione. Ma anche se si riuscisse, come auspico, ad azionare tutte queste leve per ridurre i consumi, il fabbisogno energetico rimanente sarebbe tutt'altro che banale.

Prendo ad esempio lo scenario per una Germania "verde" al 2050, elaborato da Henning e Palzer del Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems (ISE)  (qui le slide, che contengono anche la bibliografia).
Nel grafico seguente è riportata la riduzione del fabbisogno energetico primario della Germania al 2050. Per ridurre dell'81% le emissioni di CO2, e così centrare l'obiettivo della de-carbonizzazione, è necessario il dimezzamento del fabbisogno primario al 2050 rispetto ai valori attuali.


Energia primaria ed emissioni di CO2 in Germania al 2050 rispetto ai valori attuali.  Lo scenario al 2050 è di Henning e Palzer (ISE) (link)
Ammettiamo ora che tale dimezzamento del  fabbisogno energetico sia effettivamente realizzabile (gli studi tecnici possono valutare solo la fattibilità tecnico-economica, non quella socio-culturale). 
Rimangono, comunque, circa 1800 TWh/anno di energia da produrre (1800 *miliardi* di kWh/anno, per utilizzare una unità di misura di uso più comune).
Per far quadrare i conti con (prevalentemente, non esclusivamente)  fonti rinnovabili, che tipo e quantità di impianti sono necessari?
Il grafico seguente riporta questi dati per la parte di produzione elettrica.


Potenza elettrica in Germania al 2050, secondo lo scenario di Henning e Palzer (ISE) (link)


Dove sono in questo grafico le mini-rinnovabili?
Far quadrare i conti della de-carbonizzazione con prevalenza di rinnovabili è possibile, ma non stiamo certo parlando di pochi piccoli impianti:
  • 120 GW di eolico a terra, sono sessantamila (60.000) torri eoliche alte 100 metri;
  • 147 GW di fotovoltaico, sono circa 2,6 milioni di ettari (compresi gli spazi tra le file dei pannelli). Meno dell'1% del territorio tedesco. Fattibile (perché in parte i pannelli vanno anche sui tetti), ma non certo di dimensioni lillipuziane, per usare un eufemismo!

Per i coraggiosi, rimando ad altri studi degli stessi autori dove si simula una Germania nel 2050 al 100% alimentata con rinnovabili (spoiler, il numero di turbine eoliche e campi fotovoltaici aumenta non di poco!).

Alla luce di questi numeri si può capire come  decarbonizzare il sistema energetico con le rinnovabili non è esattamente un'opera "invisibile"!!!
L'ingombro visivo di turbine eoliche e pannelli è un risultato inevitabile. 

È soltanto controproducente lanciarsi in accorati esercizi retorici sulla "leggerezza" della transizione alle rinnovabili. Sarebbe molto meglio, con analitica freddezza, elencare i tantissimi vantaggi delle rinnovabili, assieme ai pochi svantaggi (l'ingombro visivo), e chiarire ai cittadini quelli che sono i veri numeri della questione. E cioè che eolico e solare dovranno far parte del paesaggio comune, non essere un'eccezione.

Le rinnovabili "piccole", di "nicchia" sono servite in una prima fase della transizione, quando ancora la loro relativa immaturità rendeva impossibile il confronto diretto con le fonti fossili. Occorreva difendere, appunto, una nicchia, per permettere a queste tecnologie di maturare. Ma bisogna essere consapevoli che la "nicchia" è irrilevante a risolvere i colossali problemi della de-carbonizzazione, e che l'acquisita maturità di eolico e solare permette ora di affrontare le fonti fossili sulla scala necessaria, che è quella *grande*.
La retorica del "piccolo è bello" è da superare. 

Purtroppo, anche ambientalisti ragionevoli si ritraggono da questa necessaria svolta argomentativa, tendendo sempre a inquadrare la transizione alle rinnovabili come una passeggiata in un Eden ancestrale.

Per esempio, è diffuso il tabù degli impianti fotovoltaici a terra. 
Perché costituirebbero un grave "consumo di suolo" nell'immaginifica immacolata campagna italiana.
Niente è più lontano dalla realtà di questa accusa. Si può legittimamente porre la questione dell'ingombro visivo. Ma il fotovoltaico  non costituisce un esempio negativo di consumo di suolo, per i seguenti motivi: 
  • Il suolo effettivamente cementificato in una centrale solare è solo una piccola parte della superficie complessiva (e si può ulteriormente ridurre con un minimo di attenzione). 
  • Il suolo destinato ad una centrale solare non presenta danni di lungo periodo, come invece accade per altre fonti energetiche. Inoltre, è compatibile con altri usi, quali quello dell'incremento della biodiversità per gli insetti impollinatori, e persino con la pastorizia.
  • La relativa efficienza del fotovoltaico rispetto alle altre fonti rinnovabili (in termini di energia per unità di supercie impiegata), fa si che dell'impegno di suolo ce ne possiamo tranquillamente disinteressare, perché ininfluente (maggiori dettagli in questo post)!

Se quindi la questione del consumo di suolo è ininfluente,  non lo è affatto la questione dei costi. Una centrale solare a terra può raggiungere costi di produzione bassi, e quindi posizionarsi per distruggere l'economicità delle fonti fossili.
È quindi totalmente irrazionale riverire questo totem eretto da qualcuno che ha problemi con l'aritmetica.

In conclusione, c'è ancora troppa timidezza nell'affrontare i miti anti-rinnovabili, perché si fa ancora riferimento ad un quadretto bucolico della transizione energetica. Piaccia o non piaccia, l'impresa è colossale e far finta del contrario  oggettivamente aiuta la lobby fossile che ha facile gioco a impallinare queste posizioni.
Tempo di aggiornare i concetti guida: 
"Grande è meglio"

  








giovedì 31 marzo 2016

Colorare il mosaico: i sistemi locali del lavoro per gli ambiti territoriali del trasporto pubblico

L’Istat ha da poco pubblicato i nuovi Sistemi Locali del Lavoro (SLL), una partizione del territorio nazionale in 611 aree (link).
Gli SLL del 2015 sono definiti utilizzando i flussi degli spostamenti giornalieri casa/lavoro (pendolarismo) come rilevati dal Censimento 2011.
Il metodo di calcolo è armonizzato a livello europeo e pertanto permette confronti tra nazioni diverse.
L'ambizione di questo metodo è quella di fornire maggiore selettività alle politiche territoriali (link) (e risulta interessante anche per sfatare luoghi comuni o arzigogolazioni della politica politicienne (link)).
Ma la rilevanza ai fini della pianificazione dei servizi di trasporto pubblico è evidente, visto che i dati di partenza per tale partizione sono i flussi di traffico tra i diversi comuni.

Un primo confronto con altri paesi europei mette in luce l'elevato numero di SSL in Italia.
Per esempio, la Francia ha un numero di "Zones d'Emploi" (ZE), l'equivalente degli italiani SLL, pari a 304 (link). 
La diversa storia (maggiore centralizzazione in Francia) e diversa geografia ("Hexagon" vs "Stivale") sicuramente spiegano gran parte di questa differenza.
Ma potrebbe esserci anche una componente "trasportistica", dato che in Italia finanche le città medie soffrono di congestione per l'assenza di efficaci reti di trasporto pubblico.

Da queste riflessioni ne discende quanto segue:
- gli ambiti territoriali minimi per la pianificazione dei sistemi di trasporto pubblico dovrebbero essere le SLL.
- aggregazioni tra SLL contigui andrebbero ricercate per il superamento della frammentazione territoriale.

Per esempio, l'SLL centrato su Cosenza conta 261 mila abitanti, e ha flussi rilevanti con gli SLL di San Marco Argentano, Acri, Paola, Castrovillari (link).
Il totale degli abitanti di questi cinque SLL è di circa 412 mila abitanti.
Tale aggregazione comporterebbe dei problemi di rottura della continuità di un'eventuale altra aggregazione lato costa tirrenica (Paola, Belvedere Marittimo, Cetraro, Praia a Mare, Scalea) che conterebbe circa 106 mila abitanti.
Così come l'inclusione di Castrovillari pregiudicherebbe aggregazioni lato Alto Jonio.
Come meglio colorare il mosaico?

Un ulteriore ordine di considerazioni è possibile relativamente alle decisioni di infrastrutturare con trasporto pubblico su sede protetta (TPSP) un'area urbana.
Il trasporto pubblico (TP) in Italia è (male)-inteso come un servizio per categorie sociali a basso tasso di motorizzazione privata (e.g. anziani, studenti). In Europa, questo obiettivo di equità è ampliato grazie alle economie di scala rese possibili dal considerare il TP come un servizio universale, e che facilità l'accesso al mercato del lavoro.
La mia intuizione è che il diverso ruolo del TP tra Italia e resto d'Europa spiega in parte il grado di frammentazione degli SLL.
Pertanto, dato il ritardo italiano nel TPSP, risulta come estremamente conservativo riferirsi alle dimensioni attuali degli SLL per effettuare confronti sulle dotazioni infrastrutturali.
Un'espansione del TPSP dovrebbe risultare in un ampliamento degli SLL.
Ma anche con questo caveat, ritornando alla vexata quaestio della tranvia di Cosenza (post a questo link), il confronto con una ZE di pari dimensione, ad esempio Besançon, mette in luce che tali dimensioni giustificano una tranvia.
Besançon ha ben due linee di tram per 23 km su una infrastruttura di 14 km (link).
Nel video seguente l'inaugurazione di questo tram.







sabato 27 febbraio 2016

Metro leggera, dibattito leggerissimo



Il dibattito sul progetto di metro leggera per l'area urbana Cosenza-Rende (160M€ per 10 km di linea con velocità operativa pari a 22 km/h) è davvero avvilente.
Per giustificare tale giudizio, questo post non potrà essere breve.
Il testo ha la seguente struttura.
Le Sezioni 1 e 2 sono una necessaria premessa sui circoli viziosi del trasporto pubblico in Italia e sulla collisione inevitabile tra auto private e qualità urbana.
Alla luce di ciò, la Sezione 3 elenca dei luoghi comuni che rappresentano delle false alternative al consolidamento del trasporto pubblico urbano su dorsali veloci.
La Sezione 4 esemplifica le descritte dinamiche per un caso paradigmatico dell'area metropolitana di Cosenza: il decadimento dell'uso della tratta ferroviaria che collega il capoluogo con il Tirreno. 
Queste premesse, e questo esempio mostrano la rilevanza delle dorsali di trasporto pubblico veloce all'interno di un'area urbana, e pertanto verranno affrontate nella Sezione 5 le "questioni sconvenienti", cioè cosa rischia di produrre, al di là delle buone intenzioni (che si sa, lastricano le vie dell'inferno),  chi si oppone a tali progetti.
Soltanto a questo punto ha senso discutere dei vantaggi e degli svantaggi delle diverse soluzioni tecniche per dorsali di trasporto pubblico urbano in città medie, cioè la busvia ad alto livello di servizio oppure il tram veloce (Sezione 6).
La Sezione 7 affronta la questione chiave se una tranvia per Cosenza sia sovradimensionata oppure no. La risposta è: "dipende".
Purtroppo, la discussione è confusa da tutta una serie di fraintendimenti (discussi nella Sezione 8), e vere e proprie bufale (Sezione 9).
Più che la questione sui costi di esercizio (comunque discussi nella Sezione 9.d) è rilevante la questione dei costi di investimento, rispetto ai quali è necessario mettere in prospettiva le cifre (Sezione 10).
Le Sezioni 11 e 12 sono dedicate alle mie perplessità sul progetto attuale, e a proposte integrative.
Nella Sezione 13 sintetizzo i punti salienti, e nelle Sezioni 14, 15, 16 fornisco dettagli minori e bibliografia.


1. PREMESSA -- I CIRCOLI VIZIOSI DEL TRASPORTO URBANO (IN ITALIA)
Il principale problema del trasporto pubblico urbano in Italia consiste nella scarsa presenza di linee veloci su corsia dedicata. La modalità prevalente è quella dell'autobus su corsia condivisa con le automobili. Questa caratteristica da sola spiega buona parte dell'inefficienza e dell'inefficacia del trasporto pubblico italiano. 
Si instaura il seguente circolo vizioso. 


a) Innanzitutto, la bassa velocità operativa su corsia mista rende bassa la domanda. 
b) La bassa domanda induce basse frequenze di servizio, e ulteriormente abbassa la domanda per i tempi di attesa lunghi che ne conseguono. 
c) Basse frequenze e basse velocità in strade congestionate portano ad un evanescente effetto rete che rimane solo sulla carta. L'utenza, a ragione, evita percorsi intermodali perché gli scambi tra linee sono scomodi e impredicibili nei tempi. Quindi, la copertura effettiva del servizio è inferiore al potenziale, e questo contribuisce ulteriormente a ridurre la domanda effettiva.
d) Le basse velocità operative inducono un alto costo specifico per la fornitura del servizio. Infatti,  servire un dato livello di domanda a bassa velocità richiede maggiori costi in conto capitale (più veicoli) e di esercizio (più autisti) rispetto al caso di velocità maggiori (è un effetto del peggioramento del tempo ciclo, il tempo richiesto da un veicolo per effettuare una rotta bidirezionale). Quindi, gli alti costi specifici inducono inefficienza, e così le forti perdite economiche dei fornitori  del servizio richiedono ulteriori riduzioni della qualità del servizio stesso.  Per esempio, si allunga la vita tecnica dei veicoli, cioè si cerca di far circolare veicoli vecchi e inquinanti. La vetustà del parco autobus italiano è spesso indicata come causa principale del cattivo servizio, ma questa non è altro che una concausa del secondo ordine. Cioè, è un fattore negativo che entra in gioco inevitabilmente per la causa primaria che è la mancanza di assi di trasporto pubblico veloce. Questi e altri peggioramenti del servizio (scarsa informazione, etc) ulteriormente inducono una riduzione della domanda.
e) Altre retroazioni derivano dal fatto che la domanda di mobilità, servita male da questo trasporto pubblico, inevitabilmente si riversa sul trasporto privato. Aumenta così il numero di automobili in circolazione, oltre che gli spazi urbani dedicati ai parcheggi. La diminuzione degli spazi di circolazione, e l'aumento dei flussi ulteriormente  aumenta la congestione e riduce così ancora la velocità operativa del trasporto pubblico. 
Come conseguenza, in Italia abbiamo 6 auto ogni 10 abitanti, contro una media europea di 5. Questa differenza di un 20% può sembrare trascurabile, ma è invece drammatica per i bilanci delle famiglie condizionati dalla necessità di prevedere la seconda quando non la terza auto per nucleo familiare. 

2. CONTRADDIZIONE AUTO-CITTA' È FATTO GEOMETRICO, QUINDI INELUDIBILE
L'automobile ha un'impronta tempo-spazio nettamente maggiore rispetto alle altre opzioni di trasporto (si veda il grafico seguente che illustra le differenze dell'impronta spazio-tempo di tre modalità di trasporto urbano).
Diagramma tempo-area per trasporto urbano nelle ore di picco, tratto da  E. C. Bruun and V. R. Vuchic. Time-area concept: Development, meaning, and applications. Transportation Research Record, (1499):95–104 1995.


Il concetto può essere anche comunicato dalla seguente illustrazione, che però non considera né le distanze di sicurezza durante il movimento nella corsia di marcia, né gli spazi di parcheggio e di servizio accessorio fuori corsia di marcia, né le differenze nei tempi di occupazione degli spazi. Ma l'essenza della questione dovrebbe essere intuibile anche con la più immediata seguente illustrazione.





3. FALSE ALTERNATIVE
Il trasporto pubblico urbano su sede protetta  ed elettrificato (per i motivi dell'elettrificazione si rimanda alle Sezioni 6.b e 15) implica investimenti importanti, sia nel caso dell'opzione su ferro (tram o metro) che nel caso dell'opzione su gomma (filobus o autobus a batteria). 
Al riguardo, una comune fallacia consiste nel contrastare tali investimenti elencando presunte alternative dal costo minore come le piste ciclabili, oppure il rinnovo del parco treni delle ferrovie regionali, oppure l'aggiunta di qualche linea di autobus.
Ma è velleitario pensare che le dinamiche sopra descritte possano essere invertite attraverso questi interventi. Più in dettaglio:
- L'elevato tasso di motorizzazione privata  rende impossibile trovare gli spazi per la circolazione di biciclette su corsia protetta. Senza tali corsie protette, la bicicletta può essere scelta soltanto da giovani "eroici", e, come diceva Bertolt Brecht, "beato quel popolo che non ha bisogno di eroi". Non a caso, le città con la maggiore quota di ciclomobilità, hanno anche i migliori sistemi di trasporto pubblico veloce. In presenza di tali sistemi, il tasso di motorizzazione privata scende, e quindi diventa fisicamente e politicamente possibile ulteriormente ridurre gli spazi per le automobili attraverso piste ciclabili, innescando così circuiti virtuosi.
- Analoga dinamica esiste per l'interazione con il trasporto ferroviario extra-urbano. Oltre alla vetustà del parco rotabile, il fattore prevalente che limita il potenziale del trasporto ferroviario regionale è costituito dalla mancanza di adeguati collegamenti interni alle città. È di utilità limitata arrivare via treno come pendolare in una città se poi  i tempi di spostamento nella città sono lunghissimi, rispetto a un percorso origine-destinazione basato esclusivamente sull'automobile privata.
- Persino le legittime richieste di equità nella fornitura del servizio attraverso nuove linee di autobus rischiano di essere controproducenti. Per accontentare il maggior numero di utenti potenziali si estendono o aumentano le linee, ma fornendo un servizio marginale. È questo un concetto salomonico di equità, dove, per ricerca del facile consenso qualunquistico, si disperdono le risorse, di fatto uccidendo l'opzione pubblica. 

Piste ciclabili, percorsi pedonali, pendolari che scelgono il treno, equità nelle possibilità di accesso sono tutti segni distintivi di una città sostenibile, ma è il trasporto di massa veloce all'interno della città che ne costituisce il pre-requisito, o meglio la chiave di volta.
Contrapporre questi investimenti agli altri ignora le dipendenze sistemiche che esistono tra le diverse modalità trasportistiche. E l'illustrazione seguente, originata dal tormentone del momento, sintetizza bene questo quadro con le biciclette accanto a un tram.

Come esempio virtuoso possiamo citare il caso di una media città francese, Grenoble, che conta 160 mila abitanti e che come agglomerazione, al variare del criterio di identificazione della corona urbana, conta tra i 300 mila e i 700 mila abitanti. Nella figura seguente si può notare come Grenoble, al livello di agglomerazione di circa 400 mila abitanti sia riuscita dal 2002 al 2010 a far scendere il peso dell'auto privata dal 60% al 50%.
Ripartizione modale nell'agglomerazione di Grenoble (link)
Grenoble è stata una delle prime città francesi a riscoprire il tram moderno, conta oggi ben 5 linee di tram, e queste linee sono delle dorsali che smaltiscono ben il 60% del traffico totale del trasporto pubblico.
Notare la terribile devastazione indotta su questo viale dal tram di Grenoble!!!
E ormai tale coscienza-conoscenza non è limitata ad esoterici circoli ecologisti. 
Si prenda per esempio lo studio di settore sulla mobilità di una istituzione come Cassa Depositi e Prestiti (link) da cui sono tratti i seguenti grafici.
Questo interessantissimo studio può essere letto come un, insospettato, peana alle dorsali di trasporto pubblico su ferro.
Gli autori partono dall'impietoso confronto infrastrutturale tra Italia e resto di Europa.
Per esempio, nella tabella seguente si compara l'estensione delle metropolitane e delle ferrovie suburbane (un confronto sulle reti tranviarie moderne è similmente svantaggioso per l'Italia).

Quello che gli italiani non sanno è che l'offerta di trasporto pubblico nel nostro paese è abbondante in termini di posti-km offerti. 
Si veda il grafico seguente (per il dato della Germania occorre evidenziare come questo grafico escluda le ferrovie suburbane, vera spina dorsale del trasporto pubblico tedesco). 


La differenza è nella composizione: in Italia, come discusso nella Sezione 1, l'offerta è prevalentemente costituita dai poco attraenti autobus su corsia mista che spessissimo viaggiano vuoti. 
Ma l'offerta c'è. È quindi inutile, se non controproducente, lamentarsi per aumentare le risorse pubbliche in conto esercizio nel settore del trasporto urbano. Con questa configurazione questo equivale al proverbiale aggiungere acqua nel secchio bucato!
La differenza possono farla soprattutto gli investimenti in dorsali su ferro. Non a caso, lo studio della CDP presenta la seguente piramide degli interventi, dove a costituire la base sono proprio gli investimenti in reti di metro e tram.

 E, se pensate che tutto ciò non riguardi l'area di Cosenza, vi manca un elemento di valutazione.
Come nel classico di Hemingway: 
"E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te" (si veda l'estratto seguente, dalla pagina 20 del rapporto).



4. ESEMPIO DI DINAMICHE NEGATIVE NELL'AREA URBANA DI COSENZA
L'esempio maggiore delle dinamiche negative sopra descritte nell'area urbana di Cosenza è rappresentata dalla forte presenza di servizi su gomma che servono quest'area in provenienza dalla fascia tirrenica. La ferrovia avrebbe un vantaggio formidabile per la lunga galleria che evita di dover travalicare l'impervia catena costiera attraversata invece dalla statale 107. Eppure, in molti preferiscono i servizi autobus e l'auto privata su queste rotte. 
"Tutto ciò che è reale è razionale", persino in questi casi perversi. Infatti, serve a ben poco arrivare rapidamente via treno dal Tirreno nella valle del Crati se poi si hanno i seguenti tre svantaggi:
a) il nodo di Quattromiglia, stazione di Castiglione Cosentino, pur essendo a brevissima distanza dall'Unical, non fornisce né comodi percorsi pedonali o ciclabili, né veloci e frequenti collegamenti navetta, perché gli autobus nell'ora di punta sono imbottigliati in quel percorso.
b) l'arrivo nella stazione conclusiva di Vaglio Lise è di scarsa utilità per chi ha destinazione finale il centro di Cosenza.
c) la distribuzione interna tramite trasporto pubblico nell'area urbana Cosenza-Rende è inefficace.
Tutti e tre i flussi (Università, Cosenza-centro, area urbana Cosenza-Rende) in provenienza dall'area tirrenica finiscono con l'essere serviti meglio da auto private e autobus che dalla ferrovia. Ecco perché lamentarsi del degrado di questa infrastruttura ferroviaria Paola-Cosenza senza preoccuparsi di queste altre connessioni trasportistiche è fuorviante.   

5.  QUESTIONI SCONVENIENTI
Per i motivi suindicati, la contrapposizione tra il "si" e il "no" alla metro leggera è fuorviante.
La relativa convenienza di una soluzione tecnologica (ferro) o di un'altra (gomma) è un fatto secondario, prettamente tecnico-economico, da scegliere in base ai volumi da servire (qui un codice di calcolo open source). 
Le vere questioni per i cittadini di Rende e Cosenza sono due: 
1) vogliono con convinzione un servizio di trasporto pubblico su corsia dedicata (si, oppure no)? 
2)  hanno interesse alle condizioni di accesso dell'area da parte dell'hinterland (si, oppure no)? 

- Se non si vuole #1, l'area urbana è condannata al circolo vizioso di cui sopra, e soprattutto condanna tutta l'area metropolitana, Tirreno, Jonio, e pre-Sila, a un accesso inefficace e inefficiente a servizi (che non sono "cosa loro" dei rendesi e dei cosentini) come l'ospedale e l'università.
Tratto da "Outlook Urbano 2020" a cura di Andrea Spinosa per Cityrailways.net  (link)

- Se si vuole #1, si deve prendere coscienza che una corsia dedicata è un intervento radicale per il tessuto urbano, indipendentemente dalla scelta tecnologica tra gomma e ferro.
Una corsia dedicata significa ridurre gli spazi per il traffico privato. La corsia dedicata richiede la priorità semaforica e quindi ulteriori rallentamenti per le automobili (si veda la Sezione 9.e per confronti tra busvia e tranvia, spoiler: la tranvia ha impatto minore, a parità di qualità e capacità). Inoltre, le stazioni che servono una corsia dedicata non sono piccole pensiline o minimalistiche paline, ma grandi aree che devono assicurare un accesso pedonale (e ciclabile) sicuro e comodo, spazi di parcheggio per biciclette, etc. L'accesso ai veicoli dalle piattaforme deve essere veloce, quindi le piattaforme delle stazioni devono essere al livello del piano dei veicoli. Il tessuto urbano deve essere ulteriormente modificato per favorire gli scambi modali su tale linea, etc.
Una "vera" corsia dedicata, quindi, richiede interventi importanti, e restringe gli spazi per le automobili. Ma apre il centro urbano ad una mobilità sostenibile di interesse non solo campanilistico.


6. I VERI VANTAGGI E SVANTAGGI DELLA GOMMA E DEL FERRO
Soltanto dopo aver risposto alla precedente questione (si oppure no alla corsia dedicata) si può aprire la discussione, appunto secondaria, sui vantaggi e svantaggi del ferro e della gomma.
Una metro leggera non è altro che un moderno tram su corsia dedicata. La soluzione corrispondente su gomma (bus ad alto livello di servizio) impiega autobus (diesel, a metano, elettrici, etc). 
I vantaggi dell'opzione su rotaia sono i seguenti:
a) Capacità. 
Con i tram è possibile formare convogli, cioè avere più di un veicolo nella stessa unità di transito, o, in modo equivalente, unità di transito lunghe. Un primo beneficio della capacità consiste in una maggiore produttività del lavoro, cioè in un migliore rapporto tra il numero di autisti impiegati nell'ora di punta e il volume di domanda servito. Questo vantaggio comincia ad essere apprezzabile sopra i 2500 passeggeri nell'ora di punta, e decisivo sopra i 4000 passeggeri/ora-di-punta. Questi sono valori solamente indicativi, perché un altro parametro importante è il grado di concentrazione del carico orario. Se sul tracciato esiste un punto di accumulazione prevalente, dove si concentrano i flussi, il dimensionamento deve prevedere come superare questo collo di bottiglia. Le maggiori capacità del ferro possono essere in questo determinanti, a meno che non si vogliano sopportare lunghe code di autobus.  
Traduzione: 218 persone = 1 tram = 2 autobus articolati = 145 auto. Questi valori sono estremamente conservativi (l'autore è un tedesco). Il fattore di riempimento dell'auto è di solito più basso in ambito urbano e nell'ora di punta, quindi di auto ne servirebbero di più, e i valori di riempimento di autobus e tram utilizzati in questa infografica sono "comodi" senza affollamento. Tram e autobus possono nell'ora di punta trasportare anche di più di quanto indicato, e quindi sostituiscono ancora più auto di quelle disegnate in questa illustrazione. Un confronto più "mediterraneo" dovrebbe recitare così: 
300 persone = 1 tram = 2 autobus articolati = 250 auto. (courtesy of www.tramway.at


b) Qualità.  
Con i tram moderni si danno per scontate le seguenti caratteristiche qualitative che sono sì riproducibili anche con gli autobus, ma con complicazioni e costi aggiuntivi: 
b1) innanzitutto, la trazione elettrica, che significa (rispetto a un veicolo alimentato da un motore a combustione interna) zero emissioni atmosferiche nell'area urbana, minore impatto climatico, minore inquinamento acustico, maggiore area utile all'interno del veicolo, maggiore comfort per le minori vibrazioni, minore usura del veicolo e maggiore vita tecnica (con gli associati benefici ambientali di una minore obsolescenza).
b2) pianale ribassato, che permette l'accesso comodo senza bisogno di  invasive piattaforme rialzate alle fermate.
b3) guida vincolata, che assicura comfort nella marcia e allineamento preciso nelle stazioni, così da poter appieno valorizzare i vantaggi della banchina di imbarco e sbarco (non ci sono gap pericolosi tra banchina e veicolo).
Riprodurre queste tre caratteristiche su gomma richiede: 1) filobus, 2) pianale ribassato, 3) guida ottica, 4) sede viaria costruita con standard alti e opportunamente manutenuta. I costi salgono rapidamente quando si aggiunge tutto questo.  Se invece si sottovalutano questi elementi qualitativi, si comparano mele con pere, e soprattutto, ci si dimentica di quelle fasce di popolazione a mobilità ridotta che avrebbero difficoltà, se non impossibilità, a servirsi di un frastornante,  traballante, e di difficile accesso autobus.
c) Permanenza. 
Quello che viene solitamente indicato come uno svantaggio delle rotaie, la mancanza di flessibilità rispetto all'opzione gomma, è, invece, in ambito urbano un altro vantaggio. Questo perché la "flessibilità" della gomma, cioè la possibilità di effettuare facilmente deviazioni dal percorso stabilito facilita il boicottaggio della corsia dedicata da parte di "micro-interessi", per spazi di parcheggio, auto in doppia fila, deviazioni per servire un'utenza politicamente influente, etc. L'intrinseca flessibilità della gomma, non assicura la permanenza sul lungo periodo dell'intervento, in modo particolare in aree a forte tasso di auto-dipendenza. 

Infatti, è la permanenza  che orienta le scelte localizzative di residenza e lavoro, che, qualora si orientassero lungo un asse trasportistico ben definito, contribuirebbero alla diminuzione del consumo di suolo, e in generale alla diminuzione dei costi di erogazione dei servizi pubblici. Quindi, anche l'opzione busvia presenta un rischio rilevante, quello della "cannibalizzazione" da parte delle auto private. Forse è per questo che il partito  dei parcheggiatori in seconda fila (PPSF) preferisce le busvie alle tranvie. Il PPSF è notoriamente il partito più forte d'Italia. 

L'unico significativo svantaggio della opzione su ferro, è il rischio del sovradimensionamento.

7.  LA TRANVIA COSENZA-RENDE È SOVRADIMENSIONATA?
La tranvia sarebbe sovradimensionata rispetto all'utenza di questa area urbana (Cosenza-Rende)?
In generale, no. 
Esistono casi di successo, per esempio in Francia, dove città di dimensioni comparabili, o anche più piccole,  hanno tali sistemi. Si prenda ad esempio Valenciennes che è una cittadina universitaria di soli 43mila abitanti, con un'area urbana di 120mila abitanti, e che ha ben 2 linee di tram che si estendono per 34 km. 
Tram di Valenciennes (Jérémy-Günther-Heinz Jähnick, Ligne A du tramway de Valenciennes (233), licence JÄHNICK 1.0, Wikimedia Commons)

Ma è pur vero che, per queste dimensioni urbane, l'intervento su ferro si posiziona sul confine della convenienza. E in Italia non abbiamo l'esperienza diffusa su questi sistemi come invece l'hanno in Francia dove hanno effettuato un programma nazionale per 750 km di queste linee costruite in pochi anni (si vedano le due figure seguenti). Anche gli interventi minori di quel programma francese, come Valenciennes, hanno potuto beneficiare di tale "effetto Paese". 

 Tranvie "storiche" francesi, anno 1966. Tratto dalla presentazione dell'ing. Mantovani (AIIT) al workshop del 22-03-2016 presso l'Aula Magna dell'Unical (link)

Espansione delle reti tranviare in Francia al 2015. Tratto dalla presentazione dell'ing. Mantovani (AIIT) al workshop del 22-03-2016 presso l'Aula Magna dell'Unical (link)
Si veda anche il seguente video sulla rinascita del tram in Francia.

Se in Italia si decidesse, finalmente, di operare in modo simile, cioè puntare a centinaia di km di nuove linee tranviarie su sede dedicata, il contesto potrebbe essere più favorevole a questo progetto su Cosenza-Rende. Ma, soprattutto, in Francia, così come in altri paesi europei, c'è una capacità di governo del territorio che in Italia ci sogniamo.
In mancanza di ciò, sono legittimi i dubbi di chi ritiene il tram un azzardo qui in Calabria.  La scelta del filobus sarebbe più prudente rispetto al rischio del sovra-dimensionamento, ma si presterebbe comunque ai rischi di "cannibalizzazione" della busvia descritti precedentemente. 
Un investimento su ferro dovrebbe andare di pari passo con una più ampia pianificazione dell'area urbana. Innanzitutto servirebbe una localizzazione del nuovo ospedale tale da permettere l'accesso tramite trasporto pubblico veloce. Ma servirebbero anche linee ferroviarie regionali opportunamente ri-potenziate, una riorganizzazione delle linee autobus, sia quelle extra-urbane, che quelle dell'hinterland, oltre che una micro-progettazione di "veri" percorsi pedonali e ciclabili intorno alle stazioni del tram. 
Ma ne siamo capaci?
A giudicare dal livello della discussione la risposta è uno sconsolante no, perché il tram è previsto su viale Mancini, mentre il nuovo ospedale su Vaglio Lise, e con quest'ultima localizzazione l'accesso pedonale dal tram potrebbe essere compromesso.
Diverso sarebbe localizzare il nuovo ospedale sul tracciato del tram, per esempio spostando l'attuale casa circondariale e utilizzare quegli spazi fino all'area di Vaglio Lise. Lì andrebbe attestata anche una stazione bus per le rotte extra-urbane che si servono della statale 107. Con le opportune ricuciture di ampi percorsi pedonali, l'ospedale sarebbe servito da autobus extra-urbani, treni regionali, e il tram distribuirebbe il traffico internamente all'area urbana. 
Inoltre, il trasporto tramite autobus dell'hinterland andrebbe gestito sinergicamente rispetto alla nuova infrastruttura. Nelle condizioni attuali di un trasporto urbano congestionato e inaffidabile, i collegamenti via autobus dell'hinterland sono lunghi. Il tempo ciclo di un autobus al servizio di un comune esterno al core urbano è superiore ad un'ora. Quindi, per offrire copertura spaziale origine-destinazione si devono sacrificare le frequenze. Basse frequenze e tempi di viaggio lunghi rendono poco attraenti tali servizi. A parità di autobus impegnati in tali servizi, il trasferimento sull'asse di trasporto su corsia dedicata permetterebbe di almeno raddoppiare le frequenze, oltre che aumentare per effetto rete la copertura spaziale. Ma questa sinergia è possibile solo ed esclusivamente se la dorsale del trasporto pubblico è veloce e frequente.
Parte a della figura: in presenza di una linea principale frequente e veloce (trunk-line), i servizi autobus di adduzione (feeder) possono anch'essi essere frequenti perché i loro tragitti sono brevi, l'effetto rete è garantito.
Parte b della figura: in mancanza di un servizio frequente e veloce sull'asse principale, i servizi autobus devono sovrapporsi nel corridoio perché gli scambi sarebbero troppo penalizzanti. A causa dei tragitti più lunghi e all'interno del corridoio congestionato, le frequenze devono ridursi. L'effetto rete non è garantito.

Con un secondo polo di traffico, quello ospedaliero oltre a quello universitario, e una completa riorganizzazione delle altre linee di autobus, il tram avrebbe i volumi necessari. 
Sulle cifre circolano tante inesattezze. I 40 mila passeggeri/giorno-feriale per rendere il tram conveniente si riferiscono ai "viaggi effettuati", non alle persone. Dato che ogni utente regolare effettua almeno due viaggi per giorno feriale, i 40 mila passeggeri/giorno equivalgono a 20 mila utenti regolari. E questi volumi sono raggiungibili con le misure descritte sopra.

In sintesi, si potrebbe giustificare il tram integrandolo in una più ampia pianificazione territoriale. "Vaste programme", per dirla con l'espressione sarcastica di De Gaulle.
Se la metro leggera è sovradimensionata lo è per le incapacità decisionali diffuse, non per le presunte inadeguatezze dovute alla dimensione urbana. 

Addendum del 23 marzo 2016
In seguito alla presentazione dell'Ing. Berti Nulli di Sintagma (slide disponibili a questo link) ho potuto valutare la metodologia utilizzata per l'analisi della domanda. In effetti, trattasi di progettazione d'area vasta, ed effettuata con metodologie stato dell'arte (modello di assegnamento Emme/3). Dalla slide seguente si può osservare come, oltre ad una discretizzazione fine dell'area urbana (119 zone di traffico), siano stati considerati flussi determinati da altre 26 macro-zone che includono anche il basso Tirreno con Amantea e l'aeroporto di Lamezia. Come ci si aspetterebbe venisse fatto per una tale opera in Francia. Ma la domanda rimane, sono i cittadini  di questo territorio calabrese pronti per tale "rivoluzione francese"?
Tratto dalla presentazione dell'Ing. Berti Nulli (Sintagma) al workshop del 22-03-2016 presso l'Aula Magna dell'Unical (link)
Una pre-condizione per tale "rivoluzione" è quella di rendersi conto che non si è parte di una piccola cittadina, ma di un'area urbana estesa e densamente popolata. Il dato di densità medio è fuorviante perché vastissime aree della provincia sono impervie e non urbanizzate. Le costruzioni seguono la struttura valliva, e le effettive aree di copertura della città sono meglio rappresentate dalle isocrone, cioè dalle aree coperte in base ad una data distanza temporale nella rete di trasporto. Tra i 30 e i 60 minuti una popolazione tra i 300 mila e i 500 mila abitanti potrebbe gravitare su questo centro urbano con interventi migliorativi imperniati sulla tranvia. Si veda la figura seguente che illustra in alto i profili di accessibilità nello scenario migliorativo, e che presenta, in basso, la situazione di accessibilità attuale. 
Tratto dalla presentazione dell'Ing. Berti Nulli (Sintagma) al workshop del 22-03-2016 presso l'Aula Magna dell'Unical (link)
Inoltre, ho consultato uno studio del 2002 (disponibile solo in cartaceo, Capitolo 7 del volume "Sistemi di Trasporto Collettivo Avanzati a Media Potenzialità", PRIN 2002, Laruffa Editore, autori: D. C. Festa et al.) sui flussi in ingresso all’università con risultati che potranno  stupire quelli che non conoscono questa realtà.
In sintesi, ci sono due fattori che rendono i flussi di questa università "anomali":
1) effetto campus: c’è un’alta frequenza degli studenti non solo per i corsi, ma anche per l’accesso alle strutture del campus.
2) effetto pausa pranzo a casa: questa abitudine levantina porta ad avere un numero elevato di persone che effettuano 4 spostamenti al giorno per l’università.
Come conseguenza di questi due fattori, questo studio trovava essere pari a 2 il numero di spostamenti per persona del campus. Questo coefficiente è tre volte maggiore di quanto solitamente utilizzato per stime di prima approssimazione su poli universitari!
In uno scenario di anche sole 25 mila persone (studenti residenti fuori campus, docenti, tecnici-amministratici, etc) nell’area universitaria, questo comporterebbe ben 50 mila spostamenti al giorno. Una cattura anche solo del 40% di tale volume costituirebbe una solida base per la tranvia, anche se con un elevato fattore di "stagionalità", elemento che convalida la critica espressa alla successiva Sezione 11.e.


8.  FRAINTENDIMENTI
Le fallacie sentite sulla questione da una parte come dall'altra sono scoraggianti.
Dal campo del si: "tanto sono soldi UE". Argomento terrificante, qualsiasi opera deve passare il vaglio di una rigorosa analisi costi-benefici, perché altrimenti non si considera il costo-opportunità (cioè quegli stessi fondi potrebbero trovare impieghi con utilità sociale maggiore).
Ma non vorrei scadere nel cerchiobottismo, è dal campo del no che sono arrivati gli "argomenti" peggiori. Nel seguito un elenco (non esaustivo, perché quello che ho sentito dire e che ho letto supera le forze di questo modesto blogger):

a) "le rotaie ritornerebbero a spezzare la città". 
Falso, perché le rotaie di un tram non hanno lo stesso effetto di quelle di un treno, che richiede invece i passaggi a livello alle intersezioni o i sottopassi. Invece, con questi sistemi  le intersezioni con altro traffico sono possibili, e si integrano bene persino in aree pedonali, quindi non c'è nessuna "lacerazione" del tessuto urbano.
Semmai, c'è un grande problema di comunicazione. In effetti l'errore inizia in ambito tecnico. Per differenziare i vecchi tram (di capacità limitata, e che raramente avevano la corsia riservata) si sono introdotti dei neologismi. In inglese "light rail transit" (che suona bene). I francesi, che hanno già tantissime metropolitane, per associare questa tecnologia al successo delle loro metro hanno tradotto con "métro léger", che suona ancora bene. In Italia abbiamo tradotto letteralmente dal francese come "metro leggera". Sbagliando, perché gli italiani non hanno esperienza di metropolitane che vedono come qualcosa di esoterico. Avremmo dovuto utilizzare "tranvia" tout court, o al più "tranvia moderna".

"Lacerazione" del tessuto urbanistico?????

b)"non avremo più i parcheggi". 
In parte è vero, una corsia dedicata toglie spazio alle auto, inclusi degli spazi di parcheggio. Ma la domanda che bisogna porsi è se il bilancio in termini di possibilità di accesso urbano aumentano oppure diminuiscono.  Come si può vedere dallo schema seguente, il tram su corsia dedicata "ruba" circa 3 metri (l'autobus avrebbe ingombri maggiori), che moltiplicati per i circa 20 km di linea equivalgono a 60mila mq (in realtà un 20% sarebbe da escludere perché in sede promiscua, così come andrebbe dimezzato il contributo relativo alle parti a binario singolo, ma andrebbero aggiunte le stazioni, quindi considerando tutto il tracciato come impegnato dal tram in bidirezionale si fa un calcolo molto conservativo e per eccesso).

Un'auto richiede 25 mq per parcheggio (questo valore include gli spazi di manovra, etc). In un'area urbana gli spostamenti casa-lavoro non sono bilanciati, cioè ci sono delle aree di parcheggio che nell'arco delle 24 ore non sono utilizzate. Cautelativamente, invece che 25 x 2 = 50, consideriamo pari a 40 mq lo spazio di parcheggio di un'auto nell'arco delle 24 ore nell'area urbana. Dividendo tale valore per un fattore di occupazione 1,3 passeggeri/auto (anche questo è un valore alto, per continuare con un calcolo conservativo), lo spazio di parcheggio di un cittadino che utilizza l'auto nell'area urbana è pari a circa 30 mq.
Quindi, soltanto 2000  cittadini che decidono di cambiare abitudini rottamando un'auto permettono di raggiungere il punto di pareggio della corsia dedicata in termini  di spazio urbano (e abbiamo tralasciato lo spazio richiesto dall'auto in movimento). Pertanto, anche soltanto una transizione del tasso di motorizzazione della sola Cosenza-Rende dall'attuale 62% al 60% (niente di trascendentale) giustificherebbe il presunto "spazio rubato".

c) "Il tracciato è troppo tortuoso".
Un'altra "leggenda metropolitana" sostiene che il tracciato del tram sia "troppo tortuoso", mentre questo tipo di opere richiederebbe, secondo i critici, "maggiore linearità".
Non è così. E per convincersi basta confrontare il tracciato in questione con quello di tranvie di aree urbane di simili dimensioni. Questo sito francese riporta molte mappe dettagliate (link). Aree urbane medio-piccole francesi con tranvia sono per esempio quelle di Angers, Caen, Clermont-Ferrand, Le Mans, Mulhouse, Nancy, Orleans, Reims, oltre alla già citata Valenciennes. Per esempio, in ordine alfabetico, non di tortuosità, prendiamo la mappa di Angers.


Si può quindi sostenere, senza tema di smentita, che il progetto Cosenza-Rende-Unical non è tortuoso rispetto allo stato dell'arte. Anzi, è anche molto cautelativo. Curve strette per una tranvia sono quelle con un raggio inferiore ai 20 metri (e anche raggi inferiori non sono poi così critici, si tratta di una preferenza, non di un vincolo assoluto). Sul tracciato considerato, i progettisti si sono mantenuti sopra questo valore (o almeno io non ne ho trovato nelle planimetrie, ma mi posso esser sbagliato,  se qualcuno le ha viste non ha che da segnalarle). Per esempio, l'inserimento su via Kennedy avviene con una tranquillissima curva di raggio 31 metri.
  

d) "Ma in questa altra città italiana X non c'è il tram, oppure in quest'altra città Y c'è e non funziona, etc".
In epidemiologia esiste la ben nota fallacia del riferimento ad una popolazione malata (sick population bias). Per esempio, non bisogna prendere a riferimento per gli indicatori di salute polmonare un gruppo di persone fumatrici. E proprio questo errore è  quello che si fa, in ambito trasportistico, riferendosi alle città italiane, notoriamente tra le peggiori al mondo in termini di trasporto pubblico su sede protetta.
Per esempio, prendiamo il caso della tranvia di Messina, additato dai superficiali detrattori come "fallimento" del tram. Ebbene, quel progetto era fallimentare per definizione, perché nei 7,7 km del tracciato insistono ben 47 attraversamenti ortogonali e non è stata prevista la priorità semaforica. Come risultato, il tram di Messina ha una velocità commerciale di soli 10 km/h!!!! Come potrebbe un tale sistema avere successo? Questo non è un caso ascrivibile al fallimento della tecnologia, semmai è una avvertenza rispetto al cedere alle pressioni "populiste" sull'adattamento della tecnologia (si veda la Sezione 1). 


Osservate in questo video la terribile lacerazione che induce un tram nel tessuto urbano. Notate come i cittadini siano terrificati da tale mostro e si tengono lontanissimi dai binari. La tram-fobia è giustificata, non è assolutamente una esagerazione allarmistica. Vedere per credere!!!!

9.  BUFALE
Purtroppo, i social network amplificano anche il peggio della mala-informazione.
Le "perle" migliori sono le seguenti:

a)"Inquinamento elettromagnetico dalla linea di alimentazione del tram". 
Il tram è alimentato a bassa tensione (sotto i 1000V è bassa tensione) e per di più in corrente continua!!! Preoccuparsi di questo è legittimo se si abita in un bunker sotterraneo e non alimentato da alcuna fonte elettrica inclusi i pericolosissimi pannelli fotovoltaici (si capisce che scherzo, sì?)!!!

b) "una linea elettrificata che passa su dei ponti dove c'è il rischio esondazione".
Mi chiedo come facciano quelli che scrivono ciò su internet ad avere un computer alimentato dalla rete elettrica in Calabria, una regione che secondo questo loro criterio non dovrebbe neanche averla una rete elettrica.

c) "i tram hanno l'aria condizionata, i gas dei circuiti di refrigerazione sono climalteranti, quindi quest'opera non è benefica per il clima".
Sì, certo, come no, è meglio far morire gli anziani nel tram d'estate, oppure scoraggiarne l'uso per l'assenza di climatizzazione. Così che gli utenti utilizzeranno la climatizzazione delle loro auto, ancora più inquinante per un fattore di scala d'impianto. Ma soprattutto, che c'azzecca? Il problema dei gas dei circuiti di climatizzazione si affronta lato filiera industriale attraverso gli standard. Ai fini dell'impatto climatico un progetto trasportistico deve rispondere per il bilancio rispetto alle alternative, e, dati i numeri in gioco, questo aspetto è trascurabile a questo livello. Chi ha scritto questa cappellata un bilancio energetico-ambientale non l'avrà mai fatto in vita sua (è sempre il tizio che non sa la differenza tra corrente continua e corrente alternata, e l'unica cosa che sa dell'elettricità è che deve stare lontano dall'acqua (attenzione ad attraversare un fiume)).

d) "100M€ di costi ANNUI di gestione".
L'infografica seguente è abbastanza comune, e circola addirittura tra persone che dicono di essere attente al trasporto ferroviario!
Ma neanche se i tram fossero alimentati a oro liquido potrebbero costare tanto!
Il progetto indica un costo di esercizio di circa 3M€/anno sulla base di un fattore di costo tipico di 7 €/tram-km. I costi potrebbero essere maggiori (o anche minori), e comunque c'è da dedurre i ricavi.  Ma capirete che tra 100 e 3 c'è una bella differenza!!!
Ma ciò che permette di dirimere la questione dei costi di esercizio è l'analisi dello status quo. In questo corridoio trasportistico solamente le rotte di autobus extraurbani sviluppano ben 2 milioni di bus-km per anno (che costano alla collettività sussidi per circa 4 milioni di euro per anno). Questo grande volume di traffico ha un grado di duplicazione pressoché totale con altre linee urbane. Ma nello status quo è difficile chiedere ai pendolari che si avvalgono di tali servizi di sobbarcarsi l'inconveniente di un trasbordo su altri autobus lumaca. Soltanto la presenza di un servizio veloce e confortevole può rendere allettante il trasbordo. Quindi, un asse di trasporto veloce, solo sull'extra-urbano, ha un potenziale di risparmio  maggiore dei futuri costi di esercizio.
La bufala più subdula perché indica cifre, quindi ha la parvenza di indicare dati di fatto. Ma le cifre sono fuori misura di un fattore 30!

e) "Il tram è tecnologia vecchia, e l'alimentazione a filo è superata".
Queste sono due bufale in una sola frase. Il tram moderno è la tecnologia trasportistica che offre maggiore versatilità e maggiori prestazioni rispetto agli autobus perché permette l'inserimento in contesti diversissimi che vanno dall'isola pedonale, alla sede dedicata,  al tunnel, e fino alla sede segregata (si veda l'illustrazione seguente). 
Versatilità del tram di Strasburgo.Tratto dalla presentazione dell'ing. Mantovani (AIIT) al workshop del 22-03-2016 presso l'Aula Magna dell'Unical (link)
Il tentativo di "vendere" gli autobus come se fossero dei tram, è appunto, soltanto un tentativo di "vendita", puro e semplice marketing. Chi decanta i minori costi delle busvie omette una lunga lista di incovenienti che queste comportano (e omette di elencare tutta una serie di costi che invece andrebbero considerati rispetto all'adeguamento della via di corsa). 
Per esempio, a causa dell'assenza della guida vincolata con un autobus gli ingombri sono maggiori di almeno un metro per linea bidirezionale. Ma soprattutto, la priorità semaforica con una busvia induce segregazione al traffico trasversale pari almeno al doppio di una tranvia di pari capacità. Questo non è un fattore critico fin quando le busvie sono posizionate in un ambito urbano con capacità orarie monodirezionali inferiori ai 2000 passeggeri (e deve andar bene). Ma per capacità di collo di bottiglia superiori, o si dedica alla busvia l'equivalente di un'autostrada all'interno della città, oppure le alte prestazioni della busvia rimangono una chimera. Eppure sono in molti che, in buona fede, credono a tale mito, che è un mix di ideologia austeritaria (meno investimenti pubblici) e naïveté velleitaria. Non a caso tale mito della "magica" busvia si è diffuso dal sud-America, terra di grandi romanzieri.
Nella foto seguente si può apprezzare come la busvia di Bogotà raggiunga le prestazioni di una metropolitana: con l'equivalente di un'autostrada a quattro corsie che taglia in due la città e richiede attraversamenti pedonali su passaggi sopra-elevati (in blu in basso). 

Busvia Transmillenio, Bogotà, Colombia
Per non parlare dei bassi salari necessari in tali sistemi, e degli altissimi coefficienti di riempimento degli autobus, e delle proteste, anche violente con interventi "militari" contro i residenti assediati dal fiume dei "magici" bus.
4 marzo 2014, proteste contro il sistema Transmillenio, Bogotà (link)
E il "filo", almeno il filo nell'era del wifi non è forse superato? La risposta breve è un deciso NO. Dove sussistono motivazioni estetiche, per esempio quando c'è un inserimento in un'area storica, si possono valutare le più costose tecnologie di alimentazione senza filo (carica induttiva con supercapacitori, terza rotaia, etc). Ma dove tale vincolo estetico non sussiste chi sano di mente si avventurerebbe mai nelle maggiori spese d'acquisto e nei maggiori oneri di manutenzione di tali sistemi? Nella foto seguente il tram di Bordeaux che fa a meno della catenaria con un'alimentazione da terza rotaia centrale. Bellissimo, ma tra i più costosi sistemi tranviari operati in Francia.
Tram di Bordeaux, alimentazione da terza rotaia centrale
Per gli autobus che sono al servizio di linee di adduzione, e quindi possono variare di rotta, i progressi lato batterie al litio possono essere una valida alternativa al filobus. Ma lì dove il tracciato è comunque deciso da un binario, che senso ha rinunciare alla tecnologia esistente della catenaria (che permette anche maggiore risparmio energetico con maggiore recupero energetico nelle fasi di frenata (re-immissione nella linea))?
Nella foto seguente il tram di Aahrus, in Danimarca, che sarà operativo a fine 2016 (link). Quindi un progetto recente. Come mai i danesi, così innovativi, hanno scelto la buona vecchia catenaria? 
Ma è possibile che solo in Italia oscilliamo tra il nulla e la fantasia di "magiche" soluzioni (che non a caso portano al nulla)?




10.  ORDINI DI GRANDEZZA DEI COSTI DEL TRASPORTO PUBBLICO VS QUELLO AUTOMOBILISTICO
Gli ordini di grandezza dei costi di investimento di tali opere possono sembrare elevati (centinaia di milioni di euro), ma non lo sono se li si mette in prospettiva. 
Conservativamente consideriamo pari a 3000 €/anno il costo per una famiglia di un'auto utilitaria. Questo è solamente il costo diretto, che non include tutti i costi socio-ambientali che quell'automobile produce. Soltanto una parte dei costi-socio ambientali sono compresi in quella cifra. Per esempio, il costo dell'assicurazione copre le riparazioni per incidenti. Ma sappiamo bene come su questa voce le riparazioni offerte sono soltanto parziali, minimalistiche, rispetto ai danni, i dolori, i lutti degli incidenti automobilistici (una delle principali cause di morte e invalidità). Le tasse sul carburante e sul veicolo coprono solo in parte gli oneri per le infrastrutture stradali, e i danni socio-ambientali (inquinamento dell'aria, salute, cambiamento climatico, etc). Se il costo annuo di un'automobile dovesse includere tutte queste voci, il conto sarebbe ancora più salato della cifra indicata. Ma, ripeto, adottiamo questa ipotesi conservativa e economicistica rappresentata dai soli costi diretti. Sull'arco di vita di una infrastruttura di trasporto pubblico su sede protetta, cautelativamente assunto pari a 30 anni, evitare una automobile in circolazione significa quindi evitare almeno 90 mila €. 
Facciamo un calcolo per la sola area di Cosenza-Rende (conservativo, perché gli effetti si riverberano su tutta l'area metropolitana). Il tasso di motorizzazione privato, automobili ogni mille abitanti, è pari a 621 (link). Una riduzione del 20% di tale tasso, possibile con infrastrutture di trasporto pubblico veloce, piste ciclabili, etc, significherebbe 13000 automobili in meno. Ciò equivale sul periodo di 30 anni a costi evitati dalle famiglie pari a 1170 milioni di €. Avete letto bene, più di un miliardo di euro, che altrimenti andrebbero in fumo (anche letteralmente) provocando danni alla collettività e dissesti ai bilanci familiari. Una analisi dettagliata dovrebbe considerare le esternalità socio-ambientali delle automobili così come quelle del trasporto pubblico (che non sono pari a zero), così come includere i costi di erogazione del servizio, e vari altri effetti. Questo semplice calcolo serve solo per spiegare gli ordini di grandezza, e permette di intuire la risposta alla seguente domanda retorica. Qual'è l'opzione che costa meno, il trasporto pubblico sostenibile, oppure la baraonda di scatolette tossiche e costose che chiamiamo traffico automobilistico?
Non ne siete ancora convinti? Provate allora a valutare il seguente scenario per l'intera nazione. Immaginate che il trasporto pubblico italiano diventi sufficientemente buono come per esempio quello francese. Come conseguenza delle loro reti di trasporto pubblico, i francesi hanno un tasso di motorizzazione pari a 497 auto ogni mille abitanti (link). Se anche gli italiani potessero raggiungere tale valore (in teoria sarebbe possibile fare anche meglio per le caratteristiche orografiche del territorio, le città storiche, etc), il parco di automobili in Italia diminuirebbe di circa 7,5 milioni di unità. Con le ipotesi di cui sopra, iper-conservative, il risparmio per le famiglie consisterebbe di ben 22,5 miliardi di euro PER ANNO!!!!
Questo è il proverbiale "elefante nella stanza" che tutti si rifiutano di vedere (e il perché ora dovreste averlo intuito). 
Invece che prendere per le corna il toro dell'auto-dipendenza, il qualunquismo si esercita in ogni direzione diversa, come per esempio contrastare i progetti di trasporto pubblico perché "troppo onerosi". 


11.  PUNTI CRITICABILI DEL PROGETTO
a) La criticità maggiore è rappresentata dalla localizzazione attuale dell'ospedale dell'Annunziata. I progettisti hanno cercato di rimediare attraverso una linea a binario singolo (chiamata nel progetto "antenna") nel tratto Due Fiumi - Piazza Riforma. Ma, per non penalizzare l'intera linea, anche per il servizio su Vaglio Lise (si veda il punto "b" seguente), su questa destinazione la frequenza si dimezza. Così, il servizio per l'ospedale ne risulta significativamente compromesso. A mio modesto avviso, la soluzione è spostare l'ospedale in posizione più baricentrica rispetto all'area urbana, sull'asse della tranvia, (come discusso nella Sezione 7). Chiaramente, questo esula da ciò che era di pertinenza dei progettisti, ma essi avrebbero dovuto sottolinearne la criticità. 
"Antenna" per ospedale Annunziata

b) Un altro prolungamento di tipo "antenna" è orientato verso la stazione Vaglio Lise. Questo tratto sarebbe comunque giustificato dal raggiungimento del deposito dei veicoli. Ma questo collegamento è anche incluso in uno specifico piano operativo su Vaglio Lise a frequenza dimezzata (in alternanza al servizio per l'ospedale). Tale servizio è giustificato dai progettisti per migliorare il collegamento con la stazione centrale di Cosenza. Ma i volumi maggiori dei treni attestati su Vaglio Lise (provenienti da Paola e Sibari), prevedibilmente scambierebbero sul nodo precedente di Quattromiglia non solo verso l'Unical e verso Rende, ma anche in parte verso Cosenza. Questa integrazione con Vaglio Lise potrebbe avere un'utilità molto limitata rispetto alla complicazione dell'operatività delle linee.

c) La sezione 2 "Il sistema metropolitano Cosenza-Rende-Unical e scenari strategici di sviluppo delle reti in sede fissa" della relazione tecnico illustrativa, è abbastanza deludente. Gli autori discutono di estensioni alla linea che sono alquanto improbabili. Per esempio l'estensione verso Castrolibero. Premesso che abito in quel comune, e che considero il tram un'eccellente tecnologia trasportistica, ritengo che tale estensione non sarebbe giustificata per il seguente motivo. Castrolibero si estende su colline non raggiungibili dal tram che dovrebbe quindi attestarsi all'inizio del comune in area stadio. Sarebbe quindi necessario un servizio navetta di collegamento interno al comune. A questo punto, dato che il tratto su via degli Stadi è di veloce percorrenza anche per un autobus senza corsia dedicata, converrebbe estendere tale servizio verso l'asse principale della tranvia. Anche le altre estensioni (anello su Cosenza, estensione verso Montalto, etc) sono di dubbia utilità (si veda la figura seguente) rispetto ad altre integrazioni (si veda la seguente Sezione 13).



d) La velocità operativa di 22 km/h rappresenta il minimo sindacale per questo tipo di interventi. Il progetto prevede qualche fermata di troppo in aree come viale Mancini dove c'è già una buona pedonalità, e quindi interdistanze maggiori tra le fermate sarebbero accettabili e vantaggiose anche per la maggior parte degli utenti per via dei ridotti tempi di viaggio. Inoltre, come si può leggere dal profilo di velocità, c'è un rallentamento nella fase finale prima dell'arrivo all'università (nodo di Quattromiglia). In questa fase il tram è prevedibilmente a pieno carico, e quindi maggiore cura dovrebbe essere dedicata al superamento di questo tratto. Una velocità operativa di 25 km/h dovrebbe essere l'obiettivo.
Tratto dall'Allegato n.1 "Programma di Esercizio" del progetto



e) Scelta del veicolo Urbos100.
Il veicolo scelto è il CAF (Paesi Baschi (Euskadi)) Urbos100, che ha tutto (da qui il nome, 100%)  il pianale ribassato, non solo la parte strettamente necessaria degli ingressi.
Interno dell'Urbos100, tram operativo nelle città di Saragoza, e Birmingham

Quindi, massima comodità non solo nell'accesso, ma anche nel movimento interno. Ma, sorge il dubbio, per questa linea non poteva esser sufficiente l'Urbos70 (70% del pianale ribassato). Non si è forse esagerato? 
Ma eccesso di comodità a parte, andrebbe verificata anche una configurazione più modulare con veicoli più piccoli che formano convogli nell'ora di punta. In questo modo la frequenza offerta potrebbe essere sempre alta, sia nell'ora di punta che in quella di morbida. Per rimanere nell'offerta CAF ci sarebbe l'Urbos 3 da 130 posti per veicolo, impiegato, per esempio, nella rete di Besançon (link).

(A chi dispiace che questa gara non sia stata aggiudicata all'italiana Ansaldo-Breda che produce gli ottimi tram Sirio, ricordo che la nostra cara nazione ha strategia nulla su questo settore, tant'è che ormai Ansaldo-Breda  è ex-italiana, perché è passata ai giapponesi dell'Hitachi. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso (soprattutto quelli che si divertono a fare i Don Quichotte contro le linee tranviarie)). 

13. ESTENSIONI NECESSARIE
In una presentazione dell'ing. Tito Berti Nulli (qui il link), progettista della metro leggera, viene evidenziata la possibilità dell'opzione tram-treno, un ibrido molto interessante che è stato inizialmente introdotto nell'area urbana di Karlsruhe, Germania. Secondo l'ing. Berti Nulli, si veda la figura seguente, tale concetto potrebbe essere applicato ad una linea Rogliano-Unical.

Sicuramente il potenziamento della linea Rogliano-Cosenza è sinergico rispetto al tram. Ma i tempi totali di viaggio Rogliano-Unical sarebbero pari a circa un'ora. Quest'area presilana dovrebbe avere un accesso più veloce all'università. Ciò sarebbe possibile saltando il tracciato urbano del tram, con una linea parallela a quella ferroviaria esistente, per poi ricongiungersi al tracciato tranviaro nel nodo di Quattromiglia (a meno di una sosta in corrispondenza di un ipotetico nuovo sito dell'ospedale). Questo "salto" dovrebbe permettere la riduzione del tempo Rogliano-Unical a 45 minuti, dando così piena competitività al trasporto pubblico. Non solo, altri benefici di un collegamento di questo tipo interesserebbero anche altri flussi nella direzione contraria Nord-Sud. Il nodo di Quattromiglia potrebbe diventare un terminale di scambio per autobus provenienti dall'area Nord, Nord-Est (Montalto, Castiglione Cosentino, etc) che avrebbero a disposizione due servizi su ferro, quello tranviario per la distribuzione interna all'area urbana e all'università, e quello ferroviario tram-treno, che rapidamente arriverebbe al nodo Due Fiumi. Questo renderebbe inutili molte linee di autobus interne all'area urbana, con un ulteriore beneficio ambientale e di razionalizzazione dei sussidi (onerosissimi nello status quo, ma al cittadino è meglio non far saper...).


13. SINTESI
In sintesi, il trasporto pubblico nell'area urbana di Cosenza è afflitto da spirali negative abbastanza tipiche in Italia che inducono auto-dipendenza, elevati costi per le famiglie, congestione, spreco di risorse pubbliche, rattrappimento territoriale e inquinamento.
I casi di successo europei che sfuggono a tali dinamiche presentano come fattore comune e determinante la riconfigurazione del trasporto pubblico urbano intorno a dorsali veloci su corsia dedicata. Altri interventi costituiscono   co-fattori che se isolati dall'intervento principale, le dorsali veloci, ricadono tra gli inganni e i palliativi, cioè costituiscono false alternative.
Solamente le alte prestazioni (velocità, puntualità, e comfort) del trasporto pubblico nell'ora di punta, 7:45 - 8:45, sono dirimenti. Le velocità medie calcolate sull'arco della giornata sono uno specchietto per le allodole.
Sono queste prestazioni all'interno della città che possono aprire alla mobilità ferroviaria regionale.
È inutile e velleitario protestare per le dinamiche peggiorative del trasporto ferroviario regionale se non ci si preoccupa prioritariamente  della velocizzazione del trasporto urbano.
Questa velocizzazione per le aree urbane di media grandezza può avvenire con sistemi su gomma (busvie ad alto livello di servizio) o su ferro (tranvie su corsia dedicata e priorità semaforica).
Questa scelta tecnologica  è secondaria rispetto all'assunzione di responsabilità politica per la diminuzione degli spazi per le auto private (che semmai è maggiore per la busvia che per la tranvia).
Chi si oppone a una tranvia, spesso e volentieri, si oppone al principio della velocizzazione del trasporto pubblico, perché teme, e a ragione, che i binari costituiscano un deterrente efficace all'invasione della corsia dedicata. Cioè, la busvia è l'alternativa accarezzata perché "flessibile", dove per "flessibile", si intende "boicottabile".
La scelta tecnologica tra gomma e ferro deve rimanere questione squisitamente tecnica.
Volumi medio-bassi con distribuzione uniforme dei carichi lungo il tragitto e lungo entrambe le direzioni favoriscono la busvia.
Volumi medio-alti con rilevanti fasi di accumulazione favoriscono la tranvia.
La busvia non scala bene in un contesto urbano caratterizzato da molti attraversamenti trasversali, mentre la tranvia sì.
I confronti sono spesso falsati da rappresentazioni artate che ignorano diverse differenze tecniche e qualitative tra i due sistemi.
Una busvia "fatta bene" costa meno di una tranvia, ma non molto meno, e comunque vale meno.
La questione dirimente è se una tranvia per Cosenza sia sovradimensionata oppure no.
In generale no, o meglio, l'unica giusta risposta è "dipende".
Se la tranvia è intesa come semplice linea di collegamento Cosenza-Rende-Unical, allora sì, la tranvia è chiaramente sovradimensionata.
Se, al contrario, la tranvia è la dorsale per la riorganizzazione e l'integrazione di tutti i servizi di trasporto pubblico urbano e extra-urbano,  e per la micro-progettazione  della pedonalità e della ciclabilità, allora no.
In altre realtà europee, con queste stesse dimensioni urbane, più di una tranvia sarebbe stata realizzata, non oggi, ma già da tempo.
I confronti con le altre città italiane sono fuorvianti perché è come confrontarsi sugli indicatori di salute polmonare con degli accaniti fumatori.
In questo post ho rifiutato il facile cerchiobottismo. 
Sì, alcune posizioni pro-tranvia sono state stucchevoli, ma nel complesso è dal fronte del no che è scaturita una valanga di disinformazione, fraintendimenti, e quel che è peggio, vere e proprie bufale categorizzabili come binario-fobia, tram-allarmismo, etc.
E checché ne dicano esperti fai-da-te, questo tipo di tecnologia (tram con alimentazione a filo) è ancora il meglio che si possa avere in un tale contesto per vantaggi di permanenza, versatilità,  scalabilità e comfort.
Anche il legittimo dubbio sui costi di gestione va correttamente inquadrato. Nel corridoio della tranvia ogni giorno feriale insistono ben 900 passaggi di autobus extraurbani che sviluppano circa 2 milioni di km per anno. Anche volendo trascurare gli impatti sanitari e ambientali di questi motori diesel bisognerebbe ricordare i sussidi regionali per questi passaggi nel corridoio che ammontano a ben 4 milioni di euro per anno, un quantitativo maggiore dei costi di esercizio della futura tranvia. Nelle condizioni attuali di un corridoio congestionato sarebbe non equo costringere i pendolari a trasbordi gomma-gomma, ma ciò sarebbe migliorativo nel caso di una dorsale su ferro. E, finalmente, le risorse dei bus urbani liberati dal corridoio potrebbero essere re-indirizzati per aumentare la frequenza nei servizi di adduzione. 
Vari dettagli implementativi e proposte integrative meriterebbero maggiore attenzione dell'opinione pubblica, e, per quel mi compete da cittadino con qualche conoscenza specifica sull'argomento, ho espresso le mie opinioni (Sezioni 11 e 12).
I rischi del sovradimensionamento dell'opzione ferro esistono in mancanza di un'ampia pianificazione territoriale.
Ma i rischi maggiori sono nello status quo, con un'area urbana congestionata e rattrappita, chiusa alle esigenze di mobilità della provincia.  
E se questo progetto venisse bloccato, lo status quo vincerebbe ancora.



14. ADDENDUM SUI COSTI DI TRAM E AUTOBUS ELETTRICO

Un tram può costare 3-4 volte un autobus elettrico. Ma la capacità di un tram è 1,5-2 volte maggiore, e la vita tecnica è 2-3 volte maggiore (30-40 anni per un tram, 20-25 anni per un filobus, per l'autobus a batterie il calcolo è più complesso perché c'è da tener conto della vita tecnica delle batterie, 7-10 anni, da comparare comunque con i 12-15 anni per un autobus con motore a combustione interna). 



Rimane l'onere finanziario per l'anticipazione di capitale maggiore per il tram, che qualora non sia giustificato dai volumi di traffico effettivi, può risultare in maggiori perdite. E questo dipende fortemente dalle condizioni di finanziamento dell'opera (per questo motivo è difficile fare confronti tra progetti dove il tasso di sconto utilizzato è diverso). Uno dei costi addizionali di una tranvia, la catenaria e le sottostazioni di alimentazione elettrica, si giustifica facilmente con i vantaggi ambientali del passaggio al vettore elettrico. Tale costo aggiuntivo sarebbe simile a quello di un filobus. Il costo aggiuntivo delle rotaie va considerato sull'orizzonte di durata di tale infrastruttura: il secolo. Quindi, questo non è un extra-costo per cui stracciarsi le vesti. Gli altri costi dell'infrastruttura viaria e delle stazioni sono simili tra una tranvia e un autobus a patto che si effettui un confronto tra prestazioni simili, cioè a parità di velocità operativa e qualità (quindi, adeguamento della via di corsa, accesso a livello ai veicoli dalle stazioni, segnalazione prioritaria alle intersezioni, etc (si veda la Sezione 6.b)). 


Il motivo principale per cui sui volumi medio-bassi è preferibile l'autobus non è rappresentato dai minori costi di esercizio e di capitale, che pure possono esserci. Il vantaggio dell'autobus è rappresentato dalla maggiore frequenza: a causa dei veicoli di capacità minore, per un dato livello di domanda la frequenza ottimale è maggiore. Questo vantaggio lato utenza è significativo e sposta la convenienza generale sull'autobus per i volumi medio-bassi.


15. ADDENDUM SULL'ALIMENTAZIONE ENERGETICA DEL TRASPORTO PUBBLICO 
Gli autobus diesel pregiudicano la qualità dell'aria, rinforzano la dipendenza dal petrolio, con tutto quel che ne consegue in termini di rischi di guerre, cambiamento climatico, etc. 

Gli autobus a metano sono meno peggio di quelli diesel rispetto al criterio dell'inquinamento urbano, ma la dipendenza dal metano non è migliore rispetto a quella del petrolio. Quando effettuati con scrupolo, i bilanci sul clima dell'opzione metano non sono affatto migliori rispetto all'opzione diesel (a causa della minore efficienza dei motori a metano, e per l'effetto climalterante delle inevitabili fughe in atmosfera di questo combustibile). Quindi, checché ne dica l'influente lobby del metano, questa opzione non è risolutiva.

Esistono combustibili liquidi (biodiesel) e gassosi (biogas) che possono presentare un quadro più favorevole. Ma le bioenergie "fatte bene", cioè tali da non produrre altri danni (come spesso avviene), sono possibili solo in quantità limitate. Quindi, questi biocombustibili è meglio orientarli su usi extra-urbani.

Nell'uso urbano soltanto il vettore elettrico soddisfa i requisiti di sostenibilità. L'obiezione che la sostenibilità del vettore elettrico dipende dalla fonte primaria è si fondata, ma non pertinente in Italia. Con il mix di produzione elettrica attuale in Italia la sostituzione dei combustibili fossili con l'elettricità per il trasporto urbano è ambientalmente positiva (a questo link i riferimenti minimi). Tale vantaggio è destinato ad aumentare con la progressione delle fonti rinnovabili, che sono quindi sinergiche a tale obiettivo di ambientalizzazione del trasporto.

16.  BIBLIOGRAFIA
- I testi fondamentali sui sistemi di trasporto pubblico urbano sono i libri del Prof. Vukan Vuchic (link). Consiglio in particolare "Urban Transit: Operations, Planning and Economics".


- I bilanci energetico-ambientali dei sistemi di trasporto sono complessi, in continua evoluzione sia per l'aggiornamento metodologico, che per le variazioni delle tecnologie. Gli autori da seguire in questo campo sono molti, consiglio i lavori di Mark Delucchi (link), e Mikhail Chester (link).